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Musica: Anzovino, dietro le mie note c'è il conflitto, è qui la trasgressione

25 ottobre 2018 | 20.42
LETTURA: 7 minuti

Remo Anzovino con 'Il Giardino di Saint Remy' di Van Gogh - Simone Di Luca
Remo Anzovino con 'Il Giardino di Saint Remy' di Van Gogh - Simone Di Luca

(di Veronica Marino) La sua non è e non vuole essere "musica consolatoria" né quando diventa la trama di un disco né quando si fa colonna sonora di un film. E', piuttosto, musica che trasuda "realtà, che nasce dall'osservazione dell'uomo, dei suoi conflitti interiori ed esteriori, senza paura". Remo Anzovino, con la sua doppia vita di avvocato penalista e compositore-pianista, racconta all'Adnkronos la sua visione, dopo aver messo a segno un traguardo importante: il 21 novembre prossimo si esibirà alla London Southbank Centre Purcell Room per il London Jazz Festival. Rassegna, questa, che lo ha voluto nel cartellone della sua ventunesima edizione al fianco di Bobby McFerrin, Archie Shepp, Bill Frisell, Richard Galliano, Avishai Cohen, Kandace Springs, Dave Douglas e tante altre star mondiali.

Un debutto prestigioso che arriva dopo il successo dell’ultimo album di inediti 'Nocturne' per Sony Music e dopo le colonne sonore originali composte per 'Hitler contro Picasso e gli altri' e 'Van Gogh tra il grano e il cielo' - entrati direttamente in vetta al boxoffice dei cinema in Italia - e al quale seguirà lo sbarco in sala del film evento 'Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e di luce' del quale Remo Anzovino ha composto la colonna sonora. Un film che il pubblico potrà vedere solo il 26, 27 e 28 novembre in sala.

"Quando la mia musica è in grado lenire un dolore o comunque di accarezzarlo o guardarlo in modo laico - racconta Anzovino all'Adnkronos - è musica che parte quasi sempre dalla visione di un conflitto, del corto circuito che a me interessa di più e cioè quello fra i picchi sublimi e meschini della natura umana. Ed è proprio questo l'elemento di trasgressione perché una musica come la mia, che a un primo ascolto può apparire delicata, nella quale c'è attenzione per le forme, in realtà nasce sempre, dal punto di vista creativo e compositivo, dall'elemento della sofferenza, dall'osservazione di qualcosa in cui c'è chi perde, da un lato, e chi si prende uno spazio che non dovrebbe avere, dall'altro".

"In generale io penso che una musica debba essere profondamente attaccata alla realtà - osserva Anzovino - e che proprio la capacità di un musicista di leggere il proprio tempo faccia sì che le persone si identifichino, si emozionino. Quando chi ascolta la musica composta per un disco o per un film trova in quella musica delle risposte alle sue emozioni, come se la musica le decodificasse, sta accadendo proprio questo e cioè il musicista sta leggendo la realtà che gli sta attorno, invece di starsene isolato in una sorta di campana di vetro o di immaginare un mondo ideale".

"In qualche modo, però - secondo Anzovino - la musica è anche universale e cioè ha la capacità di non invecchiare e quindi di non essere legata alle mode del tempo, ma piuttosto alle emozioni che, invece, sono universali. E' come se certe musiche - spiega il compositore - fossero capaci di durare nel tempo perché riescono ad essere perfette fotografie 'sonore' del periodo in cui sono state scritte e così a proiettare i significati e le caratteristiche di un'epoca". Se la musica sgorga dalla realtà come fa a compiere i suoi salti? "Lo fa rompendo gli schemi. E rompe gli schemi quando deve dire qualcosa di importante". Un esempio? "Uno dei più grandi esempi di rottura nel sistema dei suoni - sottolinea Anzovino - è quello di Beethoven che in qualche modo codifica l'importanza della parte più musicale della musica che è il silenzio".

"Ma ci sono tanti esempi di compositori che hanno totalmente rotto gli schemi. Mi viene in mente - riflette il musicista- l'inizio de 'La Sagra della Primavera' di Stravinskij dove lui affida il tema iniziale al fagotto suonato su un registro acuto che nessuno aveva mai utilizzato o Gershwin che in 'Un americano a Parigi' mette il clacson dentro l'orchestra per dare la sensazione dei taxi a Parigi". E nel caso di Anzovino? "Io cerco sempre di compiere rotture all'interno del mio linguaggio, anche all'interno della storia che voglio raccontare o della storia su cui devo scrivere la musica se si tratta di un film". Come? "Compiendo delle scelte - spiega - a volte volutamente imprevedibili, come in 'Galilei'", brano contenuto in 'Nocturne'.

"Nei primi due minuti 'Galilei' - condivide Anzovino - ha un andamento molto regolare, che cerca di unire il linguaggio pianistico dell'epoca di Schubert, di Schumann al linguaggio di oggi, per esempio, dei Coldplay e cioè di una melodia di fortissima modernità e orecchiabilità, basato, però, su scelte armoniche molto più vicine al mondo di oggi che al mondo dell'ottocento. Poi, allo scoccare dei 2 minuti e 25 secondi, quando il brano ha sviluppato il tema musicale, si ferma all'improvviso su un accordo ambiguo dal punto di vista armonico".

"Ecco, in quel momento, in quella scelta - spiega Anzovino - c'è una rottura totale. Il brano si ferma proprio quando dovrebbe continuare stando a una regola convenzionale che chiede di reiterare il passaggio orecchiabile del brano. E si ferma su un accordo quasi dissonante in un brano che fa della consonanza tutti i primi due minuti. Lì, nella sospensione - fa notare Anzovino - all'interno di un brano che è di matrice europea, entra il duduk armeno di Vardan Grigoryan che improvvisa su scale armene dialogando col pianoforte e un tipo di scrittura totalmente legata al mediterraneo, a un immaginario molto italiano. Contemporaneamente la London Session Orchestra inizia a riprendere con gli archi l'ostinato della prima parte del pianoforte".

E questa rottura per dire cosa? "Per dire che è arrivato il momento, in qualunque luogo siamo, a Londra, come in Armenia o in Italia, per fermarci tutti a guardare le stelle pensando che stiamo guardando tutti le stesse stelle. E' arrivato il momento in cui, pur vivendo il nostro tempo senza alcuna nostalgia di un passato mai vissuto, presi a correre in modo irrefrenabile, a scrivere milioni di whatsapp, a stare su facebook, ogni tanto possiamo fermarci a guardare il cielo per avere sempre un rapporto con la consapevolezza di essere umani, al di là del fatto che il tempo in cui viviamo è irrefrenabile dal punto di vista della velocità che ci divora, che divora i nostri pensieri, le nostre emozioni e soprattutto ci distrae dalle cose che realmente proviamo dentro di noi".

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