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Woodstock, 50 anni dal festival simbolo di una generazione

14 agosto 2019 | 10.55
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Era il 15 agosto del '69, 400 mila persone entravano nella cittadina di Bethel e nasceva un mito

(Fotogramma/Ipa)
(Fotogramma/Ipa)


Era il 15 agosto del 1969, fiumi di giovani arrivavano nella cittadina di Bethel (NY) per seguire quello che sarà ricordato come il festival musicale più importante di tutti i tempi. Simbolo di una generazione, 'Woodstock' durò tre giorni e arrivò a ospitare oltre 400 mila persone. L'organizzazione era passata tutta dalle mani di un ventenne, Micheal Lang, che in poco tempo era riuscito a riunire oltre 32 artisti del panorama musicale 'hippie'. Tra questi Joan Baez, i Santana, Janis Joplin, e ancora Joe Cocker, The Who, fino all'esplosiva esibizione di Jimi Hendrix, che all'alba del 18 agosto mise ufficialmente fine al festival, cantando l'inno americano con la sua chitarra elettrica.

Woodstock doveva essere una semplice manifestazione musicale di campagna inizialmente. Bethel, infatti, era una cittadina rurale i cui abitanti certamente non immaginavano di essere ricordati per sempre come gli ospiti dei 'tre giorni di pace e musica rock' poi divenuti famosi in ogni angolo del pianeta. Lang, insieme a John Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld riuscì a trasformare quella che doveva essere un'iniziativa commerciale in una manifestazione a ingresso libero, dopo aver constatato che i nomi dei musicisti avevano attratto molte più persone del previsto.

Il pubblico atteso spostò anche il luogo delle esibizioni, che da Woodstock, cittadina scelta originariamente, passò a Bethel dove Max Yasgur, un contadino della zona, accettò di affittare i suoi 6 00 acri di terreno per 75 mila dollari. Lo spazio offerto da Yasgur era a forma di conca naturale e permetteva già da subito un'acustica piuttosto buona. Il lavoro fu completato da Bill Hanley, tecnico del suono, che installò oltre sedici gruppi di altoparlanti su torrette di 21 metri venendo comunque sorpreso dall'affluenza successiva.

Il pubblico si scatenò, e in quei quattro giorni il movimento hippie trovò il suo manifesto. Alla base libertà, rifiuto delle istituzioni, sballo, amore universale e una ferma opposizione alla guerra in Vietnam, di cui gli Usa si rendevano protagonisti in quegli anni.

A 50 anni dall'evento fondativo, l'app Babbel ha raccolto tutti i termini che hanno caratterizzato il movimento. A partire da 'Flower Child', che letteralmente significa 'Figlio dei fiori'. Definizione che veniva usata per descrivere gli hippie che erano soliti indossare vestiti con stampe a fiori o colori vivaci. Il loro ideale di pace e libertà era sintetizzabile in slogan quali "Put flowers in your guns" ('mettete dei fiori nei vostri cannoni') e "Make love, not war" ('fate l'amore, non la guerra'), diventati tra le citazioni più celebri e rappresentative del movimento.

Poi 'Flower Power' è invece l'espressione tipica del movimento hippie che significa letteralmente "potere dei fiori". E ancora, 'psychedelic', termine che descrive una categoria di musica e arte visiva originariamente associata agli anni '60 e alla cultura hippie il cui immaginario è ispirato alle visioni e alle sensazioni causate dall’assunzione di sostanze stupefacenti. Infine 'groovy', sinonimo di parole come "cool" o "incredibile", e al contrario 'square', cioè tutto ciò che era 'quadrato', 'troppo regolare'.

Al Festival di Woodstock originale seguirono due ripetizioni. Nel 1994, per i 25 anni, il concerto vide protagonisti quali Aerosmith, Red Hot Chili Peppers, Green Day e Metallica. Cinque anni dopo, nel 1999, il terzo festival ospitò Kid Rock, Jamiroquai, Chemical Brothers e Alanis Morissette. Era previsto un richiamo anche quest'anno in onore dei 50, ma la line-up è saltata a pochi giorni dall'inizio dell'evento.

Quel che è certo è che la profondità e le emozioni di quel 15 agosto '69 sono considerate irripetibili da un'intera generazione. La musica, vera protagonista, riuscì a creare un 'momento magico', fondendosi con gli ascoltatori come succede solo in rari eventi della storia mondiale. Come dirà poi Jim Morrison: "Sono sicuro che, quando è tornata in città, quella gente ha portato con sé una sorta di mito".

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