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Coronavirus: negozi di dischi addio?

03 aprile 2020 | 20.52
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L'analisi di Maurizio Scandurra sulle ricadute che potrà avere la chiusura imposta dal coronavirus alle rivendite già provate dalla crisi del cd e dall’avanzata del web

Coronavirus: negozi di dischi addio?

"Stop forzato dal Coronavirus, negozi di dischi addio?". A chiederselo preoccupato il giornalista e critico musicale Maurizio Scandurra, che analizza gli effetti della pandemia su un ambito dell'industria musicale, convinto suo malgrado che "la perdita di ricavi di un piccolo esercente, per cui la musica è l'unico prodotto in vendita, sarà ben più ampia in proporzione rispetto a quella di strutture commerciali più complesse in cui cd e vinili sono soltanto uno dei migliaia di prodotti offerti".

"I piccoli negozi di dischi, rimasti ancora sul fronte a sfidare il digitale sono, infatti - spiega Scandurra - i primi a pagare le conseguenze della drastica riduzione delle vendite di cd e vinili che attualmente supera il 50%. Una riduzione chiamata in causa di recente anche dal ceo della Fimi Enzo Mazza che sta monitorando la situazione del settore nel suo insieme. E questo, senza dimenticare che le rivendite di dischi sono già fortemente penalizzate dall’avanzata senza freni dello streaming e della musica in rete. Per lo più ditte individuali escluse dal decreto 'Cura Italia', proprio come i professionisti del backstage".

"Al momento Milano guida ancora l’elenco delle città italiane con più punti vendita, con Roma al secondo posto. Mentre, allargando lo sguardo anche oltreconfine, nella classifica dei Paesi con il maggior numero di rivendite distribuite sul proprio territorio, svettano su tutti gli Usa con poco meno di 1500 negozi (0,4602 ogni 100mila abitanti), seguiti a ruota da Regno Unito con 537 (0,8443 ogni 100mila abitanti) e Germania con 453 (0,5551 ogni 100 abitanti), stando a un’indagine di mercato condotta da VinylHub e Discogs". E l’Italia? "Tiene duro in sesta posizione dietro a Francia e Canada, ma davanti a Olanda, Giappone, Australia e Spagna, con una media di circa 250 punti vendita, ovvero 0,4216 ogni 100mila abitanti".

Ma c’è di più. "Logico pensare che, a fronte di mancate vendite, crescerà anche il dato legato alla perdita del settore sul versante dei diritti connessi (cioè quelli provenienti da royalties e riproduzione fonomeccanica) che tocca questa volta anche esercizi e centri commerciali all’interno dei quali si consuma anche il rito dei cosiddetti ‘instore tour’ in cui gli artisti presentano i nuovi album, vendendone quantitativi importanti con l’escamotage del firmacopie in loco", prosegue Scandurra

“Eventi strategici - dice Scandurra a proposito degli instore tour - che negli ultimi anni, essendosi drasticamente ridotte le soglie per le certificazioni dei vari dischi d’oro, platino e diamante, diventano essenziali al comparto di riferimento per fare vendite e notizia". In sostanza "occorre vendere meno copie dei dischi per ottenere i riconoscimenti in questione e a tal fine gli instore tour consentono di vendere una media di 300-400 copie ad ogni singola data per un totale di circa 20 eventi in media che compongono il tour promozionale di un'artista fra megastore digitali, grandi librerie e centri commerciali".

C’è, poi, un altro fondamentale risvolto. "A influire negativamente sul mercato 2020 – approfondisce il giornalista - rispetto invece a un 2019 per la prima volta positivo dopo cinque anni di crisi continua come certificato dall'Ifpi, l’International Federation of the Phonographic Industry, si aggiunge anche lo stop forzato alla produzione, al rilascio e promozione di brani inediti anche in radio, complice la battuta di arresto degli studi di registrazione. Specialmente quella rivolta alle nuove generazioni a cui sono fortemente ancorate le vendite su tutti i supporti, dal tradizionale cd al download digitale".

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