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Dal 'Padrino' a 'Hunters', gli 80 anni di Al Pacino

21 aprile 2020 | 13.50
LETTURA: 4 minuti

(Foto Ipa/Fotogramma)
(Foto Ipa/Fotogramma)

"Vorrei essere ricordato come il primo uomo che ha vissuto fino a 250 anni". E' una delle sue frasi più famose di Al Pacino che il prossimo 25 aprile compirà 80 anni. Un traguardo importante che si porta dietro la partecipazione a oltre 50 produzioni tra film e opere teatrali, interpretando alcuni dei personaggi più iconici del cinema moderno, rimasti impressi nella cultura popolare e nel nostro immaginario collettivo. Senza dimenticare le nove candidature agli Oscar di cui uno vinto come miglior attore protagonista.

Nato nel 1940 ad Harlem, ma di origini siciliane, forse non è un caso che a consacrare Al Pacino, all’anagrafe Alfredo James Pacino, come uno dei grandi del cinema americano sia stato proprio il suo ruolo come Michael Corleone nella saga sulla mafia italo-americana di Francis Ford Coppola. Non solo “Il Padrino”, ma anche “Serpico”, “Scarface”, “Heat” e “Carlito’s Way” solo per citarne alcuni: sono molti i personaggi indimenticabili in film divenuti cult interpretati dall’icona di Hollywood.

Da sempre appassionato di recitazione, Al Pacino entra nel celebre Actor’s Studio di Lee Strasberg a 25 anni, per poi esordire sul grande schermo nel 1969 con “Me, Natalie” di Fred Coe. Ma il primo ruolo da protagonista, in cui offre il primo saggio di quella recitazione secca e nervosa che sarà poi caratteristica di tutti i suoi personaggi futuri, arriva con “Panico a Needle Park” (1971) di Jerry Schatzberg, con cui continuerà a collaborare ne “Lo Spaventapasseri” del 1973. Nel 1972 recita a fianco di Marlon Brando ne “Il Padrino”, mentre due anni più tardi la “Parte II” gli varrà la prima nomination agli Oscar come attore protagonista.

Sempre negli anni ’70 si aggiudica altre 3 candidature: le prime due nei panni del poliziotto anticonformista in Serpico (1973) ed il rapinatore John Wojtowic in “Quel pomeriggio di un giorno da cani” (1975), entrambi diretti da Sydney Lumet; la terza con “…E giustizia per tutti” (1979) di Norman Jewison. Alla metà degli anni Settanta Pacino è una star di fama internazionale, ma la celebrità porta con sé pressioni e responsabilità talvolta impossibili da gestire, come affermato da lui stesso: "Quando finalmente arrivò il successo ne fui confuso. Non sapevo più chi ero e perciò tentai con la psicanalisi, ma solo per qualche seduta. Il lavoro è sempre stato la mia terapia". In realtà, si conosce ben poco della vita privata dell’attore, da sempre volto a proteggerla da occhi indiscreti: un modo per salvaguardare la privacy ma anche per focalizzare l’attenzione di media e grande pubblico sui personaggi interpretati, piuttosto che sulla propria immagine.

Gli anni ’80 e ‘90 permettono a Pacino di consolidare le proprie capacità attoriali e recitative, dimostrando anche grande duttilità trovandosi a suo agio in commedie quali “Papà sei una frana” (1982) e “Paura d’amare” (1991), o in vesti addirittura caricaturali come quelle del gangster Big Boy Caprice in “Dick Tracy” del 1990, dove fu affiancato da Madonna. All’inizio degli anni Novanta arriveranno finalmente i primi premi e riconoscimenti. Nel 1993 si aggiudica l’Oscar come miglior attore protagonista per il ruolo del colonnello Frank Slade in “Scent of a Woman – Profumo di Donna” (1992) per la regia di Martin Brest - remake dell’omonimo film del 1974 diretto da Dino Risi ed interpretato da Vittorio Gassman – mentre nel 1994 è insignito del Leone d’Oro alla carriera al Festival del Cinema di Venezia.

Sempre in questo periodo, l’attore americano si dimostra attento ai registi, autori ed attori della nuova generazione: collabora con Michael Mann per “Heat – La sfida” (1995) e “Insider” (1999); con Mike Newell al fianco di Johnny Depp in “Donnie Brasco” (1997) e con Christopher Nolan in Insomnia (2002).

Nel 1996 si cimenta in sperimentazioni alla regia con “Riccardo III – Un uomo un re” (in cui si riserva comunque il ruolo di protagonista), film-documentario sulla realizzazione di un adattamento cinematografico di un’opera di Shakespeare. Nel 2000 dirige e interpreta l’ormai introvabile “Chinese Coffee”, una riflessione sul mestiere d’artista tratta dall’omonima piece teatrale di Ira Lewis. Per arricchire una carriera già caratterizzata da una grande diversità, dal duemila ad oggi lavora anche a diversi progetti per la televisione: i più recenti il film “The Irishman” di Martin Scorsese nel ruolo del sindacalista americano Jimmy Hoffa, che gli è valsa la nona nomination agli Oscar, e la serie tv “Hunters”, prodotta e distribuita da Amazon.

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