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Cinema: Mocci, ‘calcio dia l'esempio, tamponi a tutti per far ripartire i set’

07 maggio 2020 | 21.15
LETTURA: 6 minuti

L’esperto analizza lo stato dell’arte dell’intero settore

Pier Paolo Mocci
Pier Paolo Mocci

(di Veronica Marino) - "Se si parla molto di calcio in questi giorni un motivo ci sarà. Perché il calcio non è solo uno sport ma anche un grande spettacolo e i calciatori sono, senza che si offendano, percepiti come delle star, degli attori. Se il calcio adotterà, per lo più a proprie spese, misure eccezionali, sarà un modello per altri settori, tra cui il cinema". La pensa così Pier Paolo Mocci, storico del cinema, promotore della riapertura del Cinema Delle Provincie di Roma insieme al regista Massimiliano Bruno, noto anche per aver organizzato per anni incontri con attori e registi, fra cui Verdone, De Sica e Banfi, in varie rassegne dell’estate romana come quelle dell’Isola Tiberina o di Piazza Vittorio. "Così come il calcio, anche il cinema è un ‘gioco’ di squadra", osserva Mocci che analizza con l’Adnkronos lo stato dell’arte dell’intero settore alla vigilia dei David di Donatello "per la prima volta senza protagonisti sul palco e senza la consegna delle statuette".

"Hollywood, Bollywood e ogni cinematografia mondiale rappresentano una fetta importante dell’economia. I produttori devono tornare a girare e una soluzione potrebbe essere quella di comprarsi tamponi e sottoporre tutti ad analisi. Questo incrementerebbe il budget di un film di circa il 40% ma si tratterebbe di una spesa necessaria. Troppi lavoratori dello spettacolo sono fermi, e non parliamo solo di attori, ma di maestranze e comparti tecnici che nel settore dell’audiovisivo sono figure chiave. A quel punto - osserva Mocci - l’unico nodo da sciogliere resterebbe quello legato alle assicurazioni. E’ un costo che devono sostenere necessariamente i produttori, ma è anche vero che attualmente non ci sono compagnie assicurative che vogliono rischiare".

"Ecco perché ad oggi nessuno ancora progetta concretamente di tornare su set. Anche le decisioni in seno alle Regioni di riaprire dal 4 maggio i set – fa notare l’esperto - non corrispondono alla realtà, perché di fatto si dà la possibilità ad un cineoperatore di fare una ripresa ad un panorama e quindi di girare un documentario. Un set vero e proprio, con tutta al troupe al seguito e attori liberi di avere contatti fisici per recitare le loro parti, è un’altra cosa. Probabilmente qualcuno in autonomia – ironizza Mocci - girerà documentari molto indipendenti su boschi, mare e natura. Non è un caso se l’unico film possibile in questo momento è quello di Daniele Vicari, un film ad episodi con 4 coppie, legate da una relazione anche nella vita, tra cui quella di Vinicio Marchioni e Milena Mancini (‘Il giorno e la notte’)".

Nel frattempo l’estate sembra arrivare più che mai come un’opportunità: "Ci sono decine di festival, da Ischia a Pesaro, da Reggio Calabria a Taormina, che vengono considerati piccoli se paragonati a Venezia, Roma o Torino, ma che rappresentano dei poli attrattivi importanti per il turismo culturale – sottolinea Mocci - In questo modo con una fava si prendono due piccioni, se non tre e più, riattivando anche la macchina delle strutture alberghiere e della ristorazione". E l’ipotesi drive in e arene? "Sono soluzioni praticabili e probabilmente le uniche possibili fino all’autunno. Le associazioni di categoria hanno stabilito (salvo sporadiche eccezioni) che non faranno pressioni per riaprire le sale in estate, aspettando la Mostra del Cinema di Venezia (2 – 12 settembre) che costituirà un modello per tutto il settore. Sarà qualcosa di totalmente nuovo, per certi versi ibrido, verso cui tutti guardano non solo in Italia ma nel mondo, se si considera che Cannes è saltato".

Ci sono criticità su drive in e arene? "Il punto è che i distributori non daranno titoli di prima visione, perché vorranno tenerseli buoni per l’autunno, altrimenti non ci sarà prodotto. Altre criticità non ne vedo, se non che mettere su un drive in, per chi non è del settore, non rappresenta una fonte di guadagno per via dei costi di allestimento e manutenzione dell’area (affittare un maxi schermo da 20 metri costa molto, proiettore ultima generazione, sistema audio, tema inquinamento non da sottovalutare, parcheggiatori, spazi per fare manovra, sicurezza). Invito quindi gli imprenditori non di settore a valutare bene: il business della sala non è il film ma patatine, bibite e merchandising".

Ora al bivio c’è la scelta: piattaforma subito o sala in autunno. "La situazione è questa – argomenta Mocci - Se una casa di distribuzione ha 5 titoli pronti e li affida alle piattaforme, quando le sale riapriranno, non sarà della partita. Le piattaforme hanno bisogno di titoli perché è su quelli che fanno la loro campagna abbonamenti, e alcuni distributori, che non avrebbero incassato molto in sala, si lasciano tentare. In media un film in sala, quando va bene, fa un paio di milioni di euro. Tolte le tasse e suddivisi i ricavi con esercente e produttore, tolta la promozione, non sempre ci si guadagna. Quindi molti distributori bypassano la sala e così piattaforme come Netflix e Amazon Prime mettono sul tavolo le loro offerte. Di contro ci sono, invece, distributori che sanno di avere un film forte tra le mani e non vogliono rinunciare a quell’incasso. Ad esempio il nuovo film di Carlo Verdone di proprietà di Filmauro-Vision, ‘Si vive una volta sola’, non rinuncerà alla sala: i film del regista romano producono, infatti, un incasso medio di 10 milioni di euro. Ci sono poi film che in sala ci devono andare per forza altrimenti non prenderebbero le sovvenzioni ministeriali. Il rischio comunque è che alla riapertura avremo solo film americani e che la nostra quota-mercato (30%) si abbasserà notevolmente".

Quali sono i rischi per i film che sbarcano sulla piattaforma? "Ogni piattaforma preferisce non rivelare quanti download sono stati fatti per un determinato film. I numeri sono ancora troppo bassi. I prezzi sono fuori mercato: un film di prima visione, disponibile su Chili, Tim Vision, Infinity, Google Play, Rakutem, va dai 7 ai 16 euro. Francamente troppi in un panorama in cui un mese su Disney+ costa 6,99 euro, uno su Netflix 9 euro e con 18 euro circa sei abbonato per un anno ad Amazon Prime.

Il concetto di prima visione è ‘aleatorio’ per chi frequenta la piattaforma. Ci può essere un film del 2005 con George Clooney che nonostante sia vecchio, per lo spettatore è comunque una prima visione. Sulle piattaforme tra film e serie di ‘prime’ ce ne sono centinaia. Io credo che la primissima sulla piattaforma non attecchirà mai con questo sistema di acquisto del singolo film".

Quanti film ora sono rimasti 'bloccati' per via del lockdown? "Dal 27 febbraio ai primi di settembre sarebbero dovuti uscire 100 film, di cui almeno 30 italiani per via di quel 30% di cui parlavamo prima. Tra questi ‘Volevo nascondermi’ di Giorgio Diritti con Elio Germano, orso d’Argento a Berlino, uscito in semi clandestinità il 4 marzo senza che nessuno lo abbia visto; ‘Favolacce’ dei fratelli D’Innocenzo sempre con Elio Germano; ‘Tre Piani’ di e con Nanni Moretti, ‘Ritorno al crimine’ di e con Massimiliano Bruno; ‘E’ per il tuo bene’ di Rolando Ravello con Marco Giallini e numerosi altri internazionali, da Mulan a James Bond. Ci sono poi almeno 60-70 tra film e serie tv pronti per essere girati o bloccati a set in corso, come nel caso di ‘Qui rido io’ di Mario Martone con Toni Servillo nei panni del commediografo Eduardo Scarpetta. Riprese interrotte dopo poche settimane. Un film che con ogni probabilità sarebbe andato a Venezia".

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