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Iraq, al Maliki: “No a governo di emergenza”. Uccise tre guardie di frontiera iraniane

25 giugno 2014 | 15.21
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Nonostante le pressioni statunitensi, il primo ministro iracheno esclude la possibilità di dare vita a un esecutivo di unità nazionale per far fronte all’offensiva lanciata dai jihadisti dell’Isil. A Baghdad i primi 130 consiglieri militari Usa. T-shirt, felpe e pupazzi venduti in nome della jihad: sono i gadget di Isil

(Foto Xinhua)
(Foto Xinhua)

Il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha escluso la possibilità di formare un governo di emergenza nazionale per far fronte all’offensiva lanciata dai jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) nel nord dell’Iraq. In un discorso trasmesso dalla televisione di Stato, infatti, Maliki ha detto che “la formazione di un governo di emergenza nazionale sarebbe un golpe contro la Costituzione e il processo politico’’.

Maliki, sottolineando che “i pericolosi obiettivi” di chi vuole un governo di emergenza nazionale “non sono nascosti”, ha precisato che la nascita di questo tipo di esecutivo è “un tentativo di coloro che sono contro la Costituzione di cancellare il giovane processo democratico e rubare i voti degli elettori”.

Le elezioni parlamentari che si sono svolte in Iraq il 30 aprile sono state vinte dalla coalizione di Maliki che, tuttavia, non ha ottenuto la maggioranza dei seggi. Lo Stato di diritto ha ottenuto 92 dei 328 seggi del Parlamento e quindi Maliki necessita di allearsi con altre formazioni politiche per creare un nuovo governo.

La tensione resta però alta nel Paese, anche al confine con l’Iran, dove tre guardie di frontiera di Teheran sono rimaste uccise in un attacco sferrato nella provincia occidentale di Kermanshah. Lo ha riferito l’agenzia semi-ufficiale Fars, citando fonti della sicurezza, secondo le quali gli assalitori hanno aperto il fuoco contro una pattuglia di guardie frontaliere iraniane. Le fonti hanno affermato che dietro l’attacco c’è “un gruppo terroristico”, senza aggiungere ulteriori dettagli in merito.

Non solo. Nella loro offensiva i miliziani jihadisti hanno conquistato il giacimento petrolifero di Ujil, vicino a Kirkuk, nel nord del paese. Le forze governative hanno invece ripreso il totale controllo della raffineria di Baiji, la più grande dell’Iraq, assediata per giorni dai militanti islamici.

L’Isil in oltre ha chiesto un riscatto tra i 5 e i 10 milioni di dollari per liberare 80 cittadini turchi, tra i quali molti autotrasportatori, rapiti a Mosul all’inizio di giugno. Lo ha confermato al ‘New York Times’ Mehmet Kizil, titolare della ditta di trasporti per la quale lavorano alcuni dei rapiti. Kizil ha spiegato che la richiesta è arrivata direttamente alla sua ditta, che tuttavia non gestisce più la faccenda, presa in carico dal governo di Ankara. Oltre a 31 camionisti, l’Isil ha preso in ostaggio altri 49 turchi, tra i quali il console generale e tre minori.

Nel frattempo a Baghdad sono arrivati i primi 130 consiglieri militari Usa promessi dal presidente Barack Obama per aiutare il governo iracheno ad affrontare la crisi scatenata dall’offensiva dei jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Altri 50 consiglieri sono attesi nei prossimi giorni a Baghdad.

L’intelligence statunitense è seriamente preoccupata dalla crescente minaccia rappresentata dai jihadisti sunniti, che stanno diventando ogni giorno più potenti reclutando nuovi combattenti e accumulando armi e denaro. L’Isil “è più forte di quanto sia mai stata negli ultimi anni” grazie alle recenti conquiste ottenute in Itaq e in Siria, ha rivelato al Washington Post un alto funzionario dell’intelligence. La conquista di basi militari nei territori che ora controlla, con la conseguente confisca di armi sofisticate, sta consentendo al gruppo jihadista di ricostruire gran parte delle capacità militari che aveva acquisito all’apice della guerra in Iraq.

La conquista di Mosul e il saccheggio dei forzieri delle banche della città ha riempito le casse dell’Isil, che ora può disporre di una notevole quantità di denaro per finanziare le proprie attività. Altro denaro giunge da donazioni esterne, ma a giudizio dell’intelligence Usa, il grosso dei finanziamenti deriva da attività criminali come le estorsioni e i rapimenti. L’Isil disporrebbe al momento di circa 10mila combattenti, di cui tra i 3mila e i 5mila di origine straniera. Ma si tratta di stime approssimative, perché le antenne Usa sul terreno iracheno sono diminuite drasticamente dopo il ritiro delle truppe dal Paese due anni fa.

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