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Iraq, la storia dei cristiani in fuga dall'Is: "Aiutati a scappare dai sunniti moderati"

04 settembre 2014 | 15.14
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A Mosul, racconta una cittadina, "ho chiesto aiuto al mio vicino di casa. Abbiamo indossato il nijab per sfuggire ai controlli. Al posto di blocco dello Stato islamico ha detto che eravamo la sua famiglia".

Iracheni in fuga da Mosul (Infophoto) - INFOPHOTO
Iracheni in fuga da Mosul (Infophoto) - INFOPHOTO

'Travestiti' da sunniti. E' così che alcuni cristiani di Mosul, nel nord dell'Iraq, sono riusciti a fuggire davanti all'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico (Is) grazie all'aiuto di musulmani sunniti moderati, spesso vicini di casa con i quali negli anni avevano convissuto in modo pacifico. ''Il primo a cui ci è venuto in mente di chiedere aiuto è stato proprio il nostro vicino di casa, Abu Mahmoud, sunnita'', racconta ad Aki - Adnkronos International una cittadina cristiana residente nel quartiere di al-Barid. Ed è stato lui a prendersi carico di tutta la famiglia, chiedendo alle donne di indossare il niqab per sfuggire ai controlli. ''Siamo tutti saliti sulla sua auto - racconta ancora la donna a condizione di anonimato - e quando siamo arrivati al posto di blocco dello Stato islamico il nostro vicino ha mostrato il suo documento e detto che eravamo la sua famiglia, per cui non ci sono stati controlli ulteriori''. Una volta arrivati al primo villaggio cristiano nella piana di Niniveh, l'uomo ha accompagnato i suoi vicini nella casa di amici, dove vivono tuttora. ''Abbiamo portato con noi i gioielli che avevamo, per poter sopravvivere, mentre lui ci ha detto che sta curando la nostra casa, lo sentiamo regolarmente'', prosegue.

Storia simile quella raccontata sempre ad Aki da un'altra cittadina cristiana, presa in custodia insieme alle altre donne della sua famiglia da Abu Amir, un sunnita moderato che vive nel quartiere di al-Baladiyat a Mosul. ''Ha pensato che gli uomini potessero cavarsela da soli e ha portato noi donne al sicuro in un villaggio di Dohuk'', nella piana di Niniveh. Qui la famiglia vive in un prefabbricato che prima dell'arrivo dei profughi era utilizzato come scuola. Ad Abu Amir la famiglia ha affidato i suoi beni perché li custodisca.

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