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Iraq, centinaia di civili uccisi dai jihadisti. Obama: “Non invieremo le truppe”

13 giugno 2014 | 14.01
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L’Onu parla di “esecuzioni di massa”, ma il presidente americano ribadisce il suo no a un intervento diretto nel Paese “senza un piano politico degli iracheni”. Al-Sistani chiede ai connazionali di imbracciare le armi per difendere Baghdad dall’avanzata dei miliziani. Decine di morti per l’esplosione di due autobombe a nord di Fallujah

Infophoto - INFOPHOTO
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“Non invieremmo le nostre truppe in assenza di un piano politico degli iracheni”. Ad assicurarlo il presidente americano, Barack Obama che dalla Casa Bianca annuncia che si stanno “valutando altre opzioni” per cui “ci vorranno diversi giorni”. Per il presidente è necessario “avere chiara la situazione”, disporre di “tutti i dati di intelligence necessari”, affinché “qualsiasi azione sia mirata e abbia un effetto garantito”. Obama ha poi chiesto ai leader iracheni di mettere da parte le proprie differenze per risolvere la crisi in atto nel Paese.

La dichiarazione dopo la denuncia dell’Onu di “gravi violazioni dei diritti civili”. Nella loro avanzata verso Mosul e altre città dell’Iraq settentrionale centinaia di civili sarebbero stati giustiziati dai jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Il portavoce dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Rupert Colville parla di rapporti di esecuzioni sommarie di uomini della sicurezza irachena da parte dei jihadisti a Mosul.

L’avanzata dei jihadisti sembra inarrestabile. Una dopo l’altra sono cadute nelle mani dei miliziani dello Stato Islamico le principali città del nord dell’Iraq. Il conflitto ormai è arrivato alle porte di Baghdad a Baquba ovvero a una cinquantina di chilometri a nord della capitale. Non si contano i profughi. Oltre 40mila persone hanno abbandonato Tikrit e Samarra, mentre si contano decine di morti a nord di Fallujah per l’esplosione di due autobombe.

Durante la tradizionale preghiera del venerdì, la massima autorità sciita dell’Iraq, Ali al-Sistani ha chiesto agli iracheni di imbracciare le armi per fermare l’avanzata dei miliziani jihadisti. Già due giorni fa il Grande Ayatollah aveva si era rivolto al governo di Baghdad per chiedere che venissero prese tutte le misure necessarie per combattere i terroristi e proteggere i civili. Parole che avevano portato anche alla minaccia del 6 maggio scorso. In una nota lo Stato Islamico dichiarava che al-Sistani sarebbe stato ucciso se non avesse lasciato il Paese.

Da Samarra il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki fa sapere che l’esercito sta iniziando a liberare le città dai ‘terroristi’ che le hanno conquistate. L’avanzata dei jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), diretti ora a Baghdad, è iniziata il 9 con la conquista di Mosul.

Gli Stati Uniti, intanto, hanno ordinato l’evacuazione dei connazionali dalla base aerea di Balad. Un trasferimento temporaneo, precisa il portavoce del dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, a seguito di “timori per la sicurezza nell’area”. Dopo il ritiro nel 2011 di quanto restava del loro contingente militare, gli Usa continuano ad avere una forte presenza di cittadini americani nel Paese. Si tratta di migliaia di persone tra diplomatici, personale dell’ambasciata e dei consolati, contractor, addetti alla sicurezza e consiglieri militari.

Anche il governo cinese ha chiesto di garantire la sicurezza dei propri connazionali nel Paese. Pechino per questo si dice pronta a “fornire ogni aiuto possibile a Baghdad”.

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