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Irti: "Quando il tecnico, provvisto di speciale competenza, si fa politico"

20 febbraio 2022 | 12.34
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"È concorde e unanime il concetto che la politica è determinazione di fini comuni, del 'verso dove' una data società si incammini, e con quali mezzi e tempi di esecuzione"

(Fotogramma)
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Ma che cos' è mai questa "politica", da cui tutti, o quasi tutti, vogliono tenersi discosti? E così considerata malsana e corruttrice, che un'orgogliosa dichiarazione del presidente del Consiglio dei ministri (l'umano orgoglio di quanti scelgono e costruiscono la loro strada) è stata piegata o interpretata a rifiuto della politica stessa? E' quello che si domanda Natalino Irti sulle pagine del Sole 24 Ore.

È concorde e unanime, scrive, il concetto che la politica è determinazione di fini comuni, del "verso dove" una data società si incammini, e con quali mezzi e tempi di esecuzione. Una causa, insomma, per cui si avverte la weberiana "passione", che preme dentro come un dovere da adempiere e un servizio da rendere a sé ed agli altri. La politica sta in questa scelta fondamentale, la quale nasce dall'urto con altre forze, in un conflitto che ha per giudice soltanto il corso storico. La pudica formula del "tecnico prestato alla politica" nasconde la semplice verità, che il tecnico, cioè l'individuo provvisto di una speciale competenza, si è fatto "politico" al pari di ogni militante di partito, e, anch' egli, ha compiuto la scelta di un "verso dove", prendendo posizione nelle relazioni interne fra le classi sociali e nelle estere fra gli Stati.

Il tecnico, che mette la propria competenza al servizio del governo (democratico o liberale o autoritario), ne condivide per ciò stesso l'indirizzo, fa proprî gli scopi perseguiti, ne accetta i risultati siano favorevoli o sfavorevoli. L'art. 95 della Costituzione tratteggia con singolare efficacia la figura del presidente del consiglio dei ministri, che "dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri". E come potrebbe non far politica, e starsene in sprezzante solitudine, chi ha il dovere costituzionale di garantire "l'unità di indirizzo politico"? Indirizzo è, appunto, il cammino di una data società, il destino abbracciante tutti i suoi membri e tutti i ceti sociali. Chi torni (e il sommesso suggerimento è di tornarvi nelle ore decisive) sulle pagine del celebre discorso di Max Weber, la "politica come professione" (Politik als Beruf), tenuto a Monaco il 28 gennaio 1919, incontra le tre qualità dell'uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza.

Dove vibrano queste caratteristiche dell'animo e della mente, ivi si dà autentica politica, la quale non prende in prestito gli individui, trattandoli come passivi e inerti strumenti, ma li vuole tutti per sé, immersi nel loro compito, tenaci e fermi nel perseguire gli scopi prescelti. La dedizione all'ufficio, il Beruf, può durare breve ora o lungo arco di anni, esaurirsi nell'esecuzione di un piano o slargarsi a un disegno del domani, ma sempre rilevano quelle qualità, che costituiscono il profondo ethos della politica. Fuori dalla politica, intesa come vincolo di destino, nessuno può uscire, neppure "andandosene" e abitando i rifugî remoti dal mondo, poiché anche tale estraniarsi e allontanarsi sarebbe un gesto politico, ossia una presa di posizione nei confronti dei consociati. Quando la storia d'un paese offre l'immagine del caos, e come un informe agitarsi di gruppi e generazioni, allora, se non si decida di scendere in campo e correre il rischio del conflitto, rimane soltanto l'attesa del corso storico. Che è il modo più dolente, ancora una volta, di far politica. Lo stare insieme, l'appartenere a una società e il ritrovarsi in un fondamento costitutivo, ci traggono dentro un cerchio, un comune navigare, che può anche conoscere le durezze della tempesta e la tragedia del naufragio.

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