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Italia come la Svezia per donne in cda quotate

28 aprile 2018 | 19.28
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L'Italia scala le classifiche e si colloca ai primi posti in Europa per numero di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate. Un primato condiviso con Norvegia, Francia e Svezia e garantito dall'introduzione nel 2011 dalla legge Golfo-Mosca per riequilibrare la presenza di genere negli organi amministrativi delle società quotate. Ora le donne occupano il 33,5% dei posti nei board delle imprese di Piazza Affari.

Ma i cda non sono solo più 'rosa', sono anche "più giovani, istruiti, competitivi e competenti", spiega Lella Golfo, presidente della Fondazione Bellisario e prima firmataria della legge che porta il suo nome. E le imprese, dice all'Adnkronos hanno anche registrato "risultati economici migliori". Anche se solo l'11% delle quotate è andato oltre la legge, facendo spazio alle donne oltre ai requisiti imposti dalla normativa. Oggi il 33,5% dei posti nei consigli di amministrazione delle 227 società quotate in Borsa è occupato da donne. Percentuale che potrebbe anche essere ritoccata al rialzo al termine della stagione assembleare in corso, che vede il rinnovo di diversi cda. In ogni caso un balzo rispetto al 7,4% del 2011.

Una percentuale che colloca l'Italia tra i Paesi più virtuosi in Europa. Secondo una ricerca del Cerved, a fine 2017 nei cda delle 227 società quotate a Piazza Affari sedevano 751 donne sui 2.244 membri complessivi. Un'avanzata a cui è corrisposta una ritirata degli uomini. Dal 2011 il numero di uomini nei consigli si è ridotto da 2.415 a 1.493.

Il curriculum - Dovendo sostituire un terzo dei propri board e non potendo ricorrere alle cerchie di professionisti conosciuti, le società hanno dovuto cercare le donne. E le hanno trovate competenti e preparate. "Il fatto di dover trovare figure nuove rispetto alla classica cerchia dei 'più conosciuti' ha fatto sì che si guardasse al curriculum e all'esperienza delle persone in modo più marcato rispetto al passato.

Questo criterio si è esteso ovviamente anche alla componente maschile", sottolinea Paola Schwizer, presidente di Nedcommunity, l’associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti negli organi di governo e controllo delle imprese. Con effetti benefici anche a livello di performance. "L’ingresso femminile ai vertici spesso ha ridotto l’indebitamento delle aziende e quasi sempre ha prodotto risultati economici migliori", continua Golfo. Tanto che diverse società quotate "ci hanno ringraziato per i benefici che l’ingresso delle donne ha portato nei loro board".

La legge sulle quote rosa - Anche per Paola Profeta, professore associato di Scienza delle Finanze all'Università Bocconi di Milano, la legge è stata applicata "senza neanche troppe difficoltà. Tutte le società si sono adeguate, la rispettano e gli studi mostrano anche come le persone che sono entrate nei board sono competenti e affidabili, con ottimi curriculum. Di fronte a questo obbligo le aziende si sono attrezzate per trovare le competenze migliori che permettessero sia di rispettare la legge che di avere persone valide al proprio interno".

Una legge che per Schwizer "indubbiamente ha scardinato il sistema". Non tanto in termini di numeri, ma "soprattutto in termini qualitativi, di processo di selezione e livello di competenze raggiunto dai consigli di amministrazione. Il profilo qualitativo delle donne nei cda delle società quotate, la loro competenza in termini di education ed esperienza maturata, sono mediamente più alti di quelli degli uomini. Questo non significa che abbiamo donne più brave degli uomini nei consigli, ma che abbiamo evidenza del fatto che si ricercano competenze di maggior livello".

Nonostante gli effetti positivi, le società raramente sono andate oltre i dettami della legge Golfo-Mosca. Fra le quotate solo 26 (l’11%) il numero di donne che siedono nei board supera il minimo richiesto dalla legge. Inoltre, altro elemento di preoccupazione, essendo la legge transitoria e restando in vigore per tre mandati, quindi per nove anni, attorno al 2021 inizierà a esaurire i propri effetti. E al momento non è ancora stata immaginata una misura di prolungamento dei termini.

Basta una norma? - Credo che tre mandati siano un tempo ragionevole per sedimentare un modello e per testare i benefici che il contributo femminile porta nelle aziende", continua Golfo. E, quando scadrà la legge, "penso che sia necessario dare al mercato il tempo per capire se la paritaria presenza femminile nei board è diventato un normale metodo di gestione delle aziende". Se così non sarà e se ci dovessero essere passi indietro, "allora si potrà reiterare la legge, ma sinceramente credo che la potenza, la forza inaudita di questa norma sia stata il grande cambiamento culturale che ha portato non solo nelle aziende ma nella società tutta e nella politica".

La presidente di Nedcommunity si dice invece molto favorevole a rendere permanente la legge sulle quote rosa. "La norma agisce nel senso di rendere necessaria la presenza dei due generi, favorisce un equilibrio fra i generi, e questo è un elemento alla base della diversità della composizione degli organi consiliari, che è una condizione di eccellenza da perseguire in tutti i modi. Essendovi già una legge che agisce in tal senso non vedo perché questo elemento debba venir meno, visto che è un pilastro importante", dice Schwizer. In alternativa, "il principio va recepito come minimo nel codice di autodisciplina, anche se in questo ambito è più difficile inserire parametri quantitativi".

Per Profeta "al momento non servono altri interventi" normativi, ma bisogna spostare l'attenzione su altri elementi iniqui rispetto alla parità di genere. "Un monitoraggio delle promozioni nelle posizioni apicali è sempre consigliato -conclude- così come anche dei compensi e delle differenze fra uomini e donne".

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