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Jobs act, Consulta boccia calcolo indennizzi

26 settembre 2018 | 15.03
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(Fotogramma)
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La Consulta boccia il criterio di determinazione dell'indennità di licenziamento contenuta nel Jobs act. La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato "illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte - non modificata dal successivo Decreto legge n.87/2018, cosiddetto 'Decreto dignità' - che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato" spiega una nota.

In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, "contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione".

Tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state dichiarate inammissibili o infondate. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

DI MAIO - "Il Jobs act abbiamo iniziato a smantellarlo non solo noi ma anche la Corte Costituzionale" ha commentato il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo, Luigi Di Maio, al question time alla Camera, spiegando che "bene aveva fatto il decreto dignità a lavorare nella direzione oggi indicata dalla Consulta".

CAMUSSO - "Dalla Corte Costituzionale è arrivata una decisione importante e positiva" ha dichiarato Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. "Nelle prossime settimane avremo modo di commentare nel dettaglio la decisione, tuttavia quanto stabilito oggi dalla Corte, a seguito di un rinvio del Tribunale di Roma su una causa per licenziamento illegittimo promossa dalla Cgil, è un segnale importante per la tutela della dignità dei lavoratori" ha aggiunto Camusso.

"Un sistema - ha sottolineato la leder della Cgil - irragionevole e ingiusto, che calpesta la dignità del lavoro e che permette di quantificare preventivamente il costo che un’azienda deve sostenere per ‘liberarsi’ di un lavoratore senza avere fondate e reali motivazioni. Vale a dire quello che potremmo definire la rigida monetizzazione di un atto illegittimo".

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