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CBDC

La corsa alla Central Bank Digital Currency

29 luglio 2021 | 07.01
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Lo yuan digitale è quasi pronto, l'e-dollaro segue a distanza e punta sulla sua stabilità politica ed economica per continuare a essere riserva di valore.

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Circa 80 stati stanno sviluppando la loro forma di CBDC (Central Bank Digital Currency), vale a dire una moneta regolata dalla banca centrale ma che esiste esclusivamente online. La Nigeria di recente ha annunciato il lancio della propria moneta digitale con un progetto pilota che partirà in ottobre, e anche l’India, per voce della propria banca centrale, ha ammesso che “il tempo per il lancio della nostra CBDC è vicino”. Entrambi i Paesi hanno messo l’accento sui vantaggi per la riduzione dei costi, una maggiore inclusione bancaria, e anche per offrire un’alternativa digitale stabile rispetto alla volatilità delle criptovalute.

La Cina intanto sembra essere molte incollature davanti al resto del mondo, Stati Uniti compresi: ha già lanciato lo yuan digitale per oltre un milione di cittadini, mentre gli Usa sono ancora in gran parte focalizzati sulla ricerca. Potrebbe non essere un ritardo, ma una strategia: guardare come si comporta lo yuan e i problemi che emergono per poi lanciare un dollaro digitale migliore. O almeno così sostengono i team di ricerca statunitense, il Digital Currency Initiative del MIT e la Federal Reserve Bank of Boston. I punti che stanno analizzando per lo sviluppo del dollaro digitale sono molti e sfaccettati. Secondo il direttore del team di ricerca del MIT Neha Narula “La privacy è un elemento fondamentale di una moneta digitale, e in questo campo gli Stati Uniti sono molto differenti rispetto alla Cina”. Ma la preoccupazione non è vana: difficilmente una banca centrale, seppur con tutti i limiti possibili, rinuncerebbe in toto alla possibilità di tracciare le transazioni. La decisione di adottare una valuta digitale assume dunque anche caratteristiche di interesse sociale.

Un altro focus del MIT riguarda l’accessibilità. Secondo gli ultimi dati del Pew Research Center, il 7% degli americani non usa internet, percentuale che sale al 9% se si considerano gli afroamericani, e il 25% calcolando solo la popolazione over 65. L’inclusività di un sistema digitale scende anche considerando le persone con disabilità, che hanno tre volte meno possibilità di accesso a internet. L’idea dei team di ricerca è che ci sarà un lungo periodo di affiancamento tra la valuta digitale e quella fisica, con una progressiva riduzione di contanti circolanti pur senza diminuzione del volume monetario. Questo permetterà un adeguamento tecnologico che porterà con il tempo la totalità della popolazione a passare alla moneta digitale.

Una cautela comprensibile ma che non mette a tacere le preoccupazioni di chi teme che lo sviluppo rapido dello yuan digitale possa scalzare la posizione di supremazia del dollaro come riserva di valore mondiale. Di recente avevano manifestato apprensione in materia diversi membri dell’amministrazione Biden, che vedono l’affermarsi dell’e-yuan come “un problema di sicurezza nazionale”, per riassumerlo con le parole di Josh Lipsky, direttore GeoEconomics dell’Atlantic Council. Lipsky si è espresso in favore di un’accelerazione USA, affinché siano gli Stati Uniti a dettare le regole del gioco in materia di privacy e sicurezza informatica per non ritrovarsi “in un ecosistema di valuta digitale fratturato che minaccia il buon funzionamento della finanza internazionale”.

Più ottimista e cauto l’economista e professore della Cornell University Eswar Prasad, autore di un saggio in uscita in autunno dal titolo “Il futuro della moneta: come la rivoluzione digitale sorta trasformando valute e finanza”. Per Prasad la fine del cash è vicina, o forse è già arrivata. E proprio per questo l’e-yuan lo preoccupa poco: “Gran parte dei pagamenti internazionali, che siano per motivi di commercio o in ambito finanziario, già avvengono in forma digitale” ha spiegato in un’intervista a Fortune Magazine. “Quello che importa realmente perché una valuta venga scelta come riserva di valore è il framework istituzionale che possa attirare la fiducia degli investitori, la certezza del diritto e l’equilibrio tra i poteri dello Stato. La Cina al momento non fornisce nessuna di queste garanzie”.

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