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La laurea allunga la vita

01 dicembre 2017 | 14.05
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La laurea allunga la vita

Speranza di vita di 3 anni superiore per i maschi italiani laureati rispetto a quelli che hanno conseguito al massimo l'istruzione obbligatoria, mentre tra le donne laureate il vantaggio sulle meno istruite risulta di un anno e mezzo. E' quanto rileva, relativamente agli anni 2012-2014, il documento 'L'Italia per l'equità nella salute', elaborato dai quattro Enti vigilati dal ministero della Salute - Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), Istituto superiore di sanità (Iss), Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e Agenzia italiana del farmaco (Aifa) - e presentato oggi a Roma.

Il report nasce nel momento in cui l'Italia sta uscendo da una congiuntura economica particolarmente sfavorevole e si appresta a coordinare la nuova Joint Action europea sul tema dell'equità nella salute. Dai dati emerge una maggiore concentrazione al Sud dello svantaggio sociale, ma rispetto al panorama europeo le disuguaglianze sociali di salute osservate in Italia appaiono simili a quelle di altri Paesi ad alto reddito, fortunatamente meno pronunciate per effetto di alcuni fattori protettivi: l'alimentazione basata sulla dieta mediterranea (che tuttavia sta iniziando a non essere più patrimonio comune a tutti gli strati sociali), il Servizio sanitario nazionale universalistico e la rete protettiva familiare, a compensazione di carenze nei servizi, soprattutto per l'assistenza agli anziani e alle persone disabili.

Le diseguaglianze - sottolinea il documento - possono nascere per effetto della stratificazione sociale, che influenza la maggiore esposizione delle persone svantaggiate ai principali fattori di rischio per la salute; tali fattori possono comprendere: gli stili di vita insalubri, come fumo, alcol, sovrappeso, sedentarietà, alimentazione non equilibrata, rapporti sessuali non protetti; le condizioni fisiche, chimiche, biologiche, ergonomiche o meccaniche che creano un rischio disuguale negli ambienti di vita e di lavoro; i fattori di rischio psicosociali, legati soprattutto all'occupazione e, ad esempio, allo squilibrio tra ciò che si esige da una persona e il grado di libertà con cui questa può rispondere, oltre alla remunerazione che ne riceve e all'aiuto di cui può disporre; ancora, le barriere nell'accesso alle cure appropriate. Il documento propone tre categorie di azioni per la riduzione delle disuguaglianze: quelle di sistema, rivolte a tutta la popolazione in modo proporzionale al bisogno, per rendere più esigibili i diritti e le risorse; quelle strumentali, che servono a far funzionare le altre azioni con dati, regole e processi; infine, quelle selettive, rivolte ai gruppi più vulnerabili. "Le proposte selettive che emergono dal documento - ha detto Concetta Mirisola, direttore generale dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp) - andranno a costruire politiche della salute trasversali mirate contro le diseguaglianze. Da oggi il report sarà disponibile sul nostro sito web per la consultazione pubblica e la revisione aperta a tutti gli stakeholder interessati, per un piano d'azione nazionale".

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