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Medicina: emofilia B, terapia genica 'made in Italy' funziona sui cani

05 marzo 2015 | 07.55
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Guarire l'emofilia B correggendo nel Dna il difetto che la causa, con un'unica somministrazione del gene giusto trasportato da un virus dell'Aids disinnescato e trasformato in 'postino'. Gli scienziati del Tiget San Raffaele di Milano mettono a segno un nuovo successo: da 5 anni 3 cani nati malati stanno bene e ora i test sull'uomo sono più vicini

Il gruppo di ricerca del Tiget San Raffaele di Milano
Il gruppo di ricerca del Tiget San Raffaele di Milano

Erano condannati a una vita di trasfusioni per sopravvivere all'emofilia B che li aveva colpiti fin dalla nascita. Ma oggi Enzo, Hemil e Valentine, 3 cani americani della colonia di Chapel Hill in North Carolina, stanno bene da 5 anni e non hanno più bisogno del sangue dei loro compagni sani . Merito di una terapia genica 'made in Italy' che ora promette di curare definitivamente anche gli italiani colpiti dallo stesso difetto della coagulazione, attraverso una singola somministrazione della copia funzionante del gene malato. Postino per inviarla alle cellule del fegato è il virus dell'Aids addomesticato, un Hiv reso innocuo e trasformato in navetta. Lo studio, pubblicato su 'Science Translational Medicine', segna un nuovo successo degli scienziati del Tiget di Milano, l'Istituto Telethon San Raffaele per la terapia genica.

Quattro zampe tese verso l'uomo: "Questo lavoro - annuncia infatti Luigi Naldini, direttore del Tiget e coordinatore del lavoro internazionale, firmato in collaborazione con ricercatori di Germania, Francia, Belgio e Stati Uniti - pone le basi per una prossima sperimentazione clinica della terapia genica dell'emofilia B con i vettori lentivirali", derivati appunto dall'Hiv.

La strada verso i test sui malati si accorcia, ma "serviranno ancora alcuni anni di lavoro - tiene a precisare lo scienziato - per garantire efficacia e sicurezza anche nell'uomo. Una prospettiva comunque oggi più realistica, grazie anche all'accordo siglato da Fondazione Telethon e Irccs ospedale San Raffaele con l'azienda Usa Biogen Idec per lo sviluppo clinico di questa terapia". Obiettivo dell'alleanza, da 5 milioni di dollari più eventuali pagamenti aggiuntivi, è guarire per sempre entrambe le forme di emofilia, la A e la B. In tutto 4.200 gli italiani malati (circa 700 di B), di cui almeno 2 mila gravi.

L'emofilia B, ricordano gli scienziati di via Olgettina, è una malattia genetica dovuta al difetto del fattore IX della coagulazione. La sua mancanza causa sanguinamenti spontanei dannosi per l'organismo e potenzialmente mortali. Oggi il trattamento è a vita e prevede la somministrazione ripetuta del fattore IX per via endovenosa ogni 2-3 giorni. Un regime impegnativo per i pazienti e costoso. La terapia genica potrebbe offrire invece una cura definitiva 'one shot', perché agisce alla base della patologia fornendo l'informazione genetica corretta e permettendo alle cellule epatiche del paziente di produrre il fattore della coagulazione funzionante.

Le promesse della terapia genica contro l'emofilia sono state già confermate in alcuni malati di forma B trattati con vettori virali ingegnerizzati, ma diversi: non l'Hiv 'disinnescato', bensì navicelle derivate da virus adeno-associati (piccoli germi non patogeni) che non sarà però possibile utilizzare in tutti i pazienti a causa di alcune limitazioni. Ecco perché serviva sviluppare strategie alternative.

Candidati ideali i vettori lentivirali 'figli' del virus dell'Aids, sui quali gli studiosi del Tiget hanno accumulato un'esperienza pluriennale e successi che hanno fatto il giro del mondo. Primo fra tutti la guarigione dei piccoli malati di Ada-Scid, i cosiddetti 'bimbi in bolla' completamente privi di difese immunitarie, tanto da rischiare la morte per un banale raffreddore. Successivamente utilizzati dal Tiget in via sperimentale in bambini con altre immunodeficienze o malattie neurodegenerative, i vettori lentivirali sembrano adesso avere un futuro anche nella cura dell'emofilia. Nei cani ha funzionato.

A Enzo, Hemil e Valentine sono stati somministrati vettori lentivirali portatori del gene sano, iniettati direttamente nel sangue. L'Hiv-postino ha raggiunto così le cellule del fegato e 'imbucato' il suo pacchetto genetico, correggendo il Dna malato. "Una singola somministrazione del vettore - riferiscono gli scienziati - ha ripristinato stabilmente l'espressione del fattore della coagulazione mancante e ridotto considerevolmente i sanguinamenti spontanei a più di 5 anni dal trattamento".

I 3 animali "oggi godono di buona salute e continuano a vivere a Chapel Hill nel pieno rispetto delle norme vigenti. Vengono costantemente monitorati da un'equipe veterinaria, per valutare nel tempo l'efficacia della terapia ed eventuali effetti collaterali".

"In questo lavoro abbiamo valutato l'efficacia e l'eventuale tossicità della somministrazione diretta di vettori lentivirali in 3 cani" affetti da emofilia B, animali che "rappresentano il modello di questa malattia più vicino all'uomo - afferma Alessio Cantore, ricercatore del Tiget e primo autore dello studio - Tutti e 3 i cani sono vivi, stanno bene e hanno riportato un beneficio duraturo". Coautori del lavoro Eugenio Montini, scienziato del Tiget, e Marco Ranzani, dottorando di ricerca, che in modelli sperimentali da loro sviluppati hanno dimostrato nel lungo termine l'assenza di complicazioni dovute all'inserzione dei vettori lentivirali nel Dna delle cellule del fegato. Lo studio è stato possibile grazie ai finanziamenti di Fondazione Telethon e Unione europea, e alla collaborazione con l'università della North Carolina che a Chapel Hill ospita i cani emofilici prima e dopo il trattamento.

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