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Turchia: domenica al voto, Erdogan contro tutti/Aki

04 giugno 2015 | 17.39
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Per la prima volta un gay dichiarato e 2 transessuali candidati. Editorialista Hurriyet: "Per Erdogan i giornalisti sono traditori". Partito curdo: "Soli contro sistema"

Foto AFP - AFP
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Se la campagna elettorale che sta per concludersi in Turchia, dove si vota domenica, avesse un titolo, sarebbe sicuramente 'Erdogan contro tutti'. Il capo dello stato, in barba al suo ruolo 'super partes', ha dominato la scena politica negli ultimi due mesi, occupando tutti gli spazi disponibili, viaggiando in tutto il paese e oltre (a maggio è andato a trovare la numerosa comunità turca in Germania), attaccando con veemenza tutti i suoi avversari, reali o presunti.

Sono finiti nel mirino di Recep Tayyip Erdogan i curdi, gli "aleviti senza Alì" (come il presidente definisce atei ed eretici), i "golpisti" della setta Hizmet guidata dall'imam Fethullah Gulen, gli omosessuali accusati di "sedizione", alcune attiviste che hanno 'osato' voltargli le spalle in segno di protesta, ma soprattutto i giornalisti. Erdogan se l'è presa con il quotidiano Hurriyet e con il suo gruppo editoriale, con Zaman e con gli altri media riconducibili a Gulen, con il New York Times, la Cnn e la Bbc, asserviti a una "mente superiore", con Cumhuriyet, che nel bel mezzo della campagna elettorale ha fatto esplodere una vera e propria bomba per il presidente e per il governo.

Il quotidiano ha pubblicato le immagini di alcuni tir del servizio nazionale di intelligence carichi di armi per i ribelli siriani. Erdogan ha promesso al suo direttore, Can Dundar, che l'avrebbe "pagata a caro prezzo" e i suoi avvocati lo hanno denunciato, chiedendo per lui l'ergastolo. La foga del 'sultano' Erdogan ha una sola spiegazione: si gioca il tutto per tutto per stravincere le elezioni del 7. Solo una vittoria schiacciante (almeno i tre quinti dei seggi) permetterebbe infatti al suo partito islamico Akp di sostituire il sistema parlamentare con quello presidenziale, facendo di Erdogan - in quanto presidente in carica - un 'superpresidente'.

I toni di Erdogan tradiscono un certo nervosismo, che è andato crescendo man mano che i sondaggi preannunciavano un sensibile calo di consensi per il suo Akp. Secondo uno studio della società Sonar, pubblicato il 25 maggio, il partito dovrebbe attestarsi al 41%. Un sondaggio di poco precedente della società Gezici lo dava al 38,1% e uno di Metropoll al 42%. In ogni caso un calo considerevole rispetto al 49,8% del 2011. E sicuramente molto meno di quanto gli sarebbe necessario per modificare da solo la costituzione.

Un altro dato significativo che emerge dai sondaggi è che tutti danno per certa una percentuale di consensi sopra al 10% per il partito curdo Hdp. Il partito del giovane e carismatico Selahattin Demirtas, progressista e liberale, è la vera rivelazione di questa campagna elettorale. Ha saputo conquistare giovani e donne e una grossa fetta di delusi dall'Akp.

Ha messo in secondo piano la causa curda e si è proposto come partito dei diritti e delle libertà di tutti, compresi minoranze etniche e religiose, omosessuali (è nelle sue liste il primo gay dichiarato a candidarsi al parlamento turco, Baris Sulu) e lavoratori (chiede un salario minimo di 605 euro). Ma soprattutto Demirtas è la vera spina nel fianco di Erdogan.

Se i sondaggi saranno confermati e il suo partito riuscirà a superare la soglia di sbarramento del 10%, conquisterà almeno una cinquantina di seggi, soffiandoli ad altrettanti candidati dell'Akp. E se riuscirà nell'intento, Demirtas promette di dare battaglia. "Non appoggeremo un governo dell'Akp - ha detto di recente - né dall'esterno né dall'interno".

Lo stesso ha affermato Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione, il laico e kemalista Chp. "Come potremmo entrare in coalizione - ha detto in un'intervista televisiva - con un partito che ha fatto della corruzione il suo principio?". Non è detto che l'Akp, che dal 2002 è alla guida di esecutivi monocolore, sia costretto per la prima volta a coalizzarsi per governare. Secondo gran parte dei sondaggi, potrebbe riuscire a governare da solo.

Ma il problema resta: il Chp, l'Hdp e l'ultranazionalista Mhp (i tre partiti che, insieme all'Akp, hanno chance concrete di entrare in parlamento) sono contrari all'introduzione del sistema presidenziale. In un commento ad Aki-Adnkronos International, Burhan Sonmez, scrittore di fama internazionale e attivista politico, spiega i motivi dell'ossessione di Erdogan per il presidenzialismo. Per lui, dice, "il potere non è mai troppo, nella sua mente non ci sono limiti".

"Molti sostengono - aggiunge Sonmez - che sia una questione psicologica, ma io credo che sia piuttosto una questione politica: Erdogan sta creando una sorta di dinastia, una setta di cui fanno parte familiari, amici e alleati. Se perdesse il potere, si ritroverebbe a doversi difendere di fronte a un giudice dalle accuse di corruzione".

Erdogan, anche grazie alla sua carica, non è mai stato indagato per corruzione. Ma a dicembre del 2013, quando era premier, è esploso un enorme scandalo che ha coinvolto suo figlio, i figli di quattro dei suoi ministri e molti altri uomini del suo entourage. Le intercettazioni di alcune sue telefonate - la cui autenticità in realtà non è provata - sembrano legarlo a quello scandalo.

Per molti osservatori, è cominciato proprio da lì il calo della sua popolarità, già compromessa dalla dura repressione delle proteste antigovernative dell'estate precedente. Erdogan può ancora contare su un nocciolo duro di elettori, tra la maggioranza conservatrice e religiosa del paese. Ma il rallentamento delle riforme, che ha frenato la crescita economica (2,9% nel 2014, ben lontana da quel 5% considerato la soglia minima per entrare a far parte delle prime 10 economie del mondo entro il 2023) e ha fatto crescere la disoccupazione fino al 10,9% dal 9,5 del 2013, rischia di giocargli presto a sfavore anche tra i suoi fedelissimi.

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