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Jobs act: Consulenti, in 2015 con tutele crescenti +7,6% conserva posto lavoro

01 luglio 2016 | 10.56
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La quota di contratti a tempo indeterminato non cessati alla data del 31 dicembre dei rispettivi anni passa dal 72,8% del 2014 all’80,4% del 2015. In altre parole, la percentuale di coloro che hanno sottoscritto un contratto a tempo indeterminato nel 2015 e che non hanno cessato il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2015 è superiore di 7,6% rispetto agli analoghi contratti del 2014. E’ quanto emerge dalla ricerca condotta, a un anno dall’entrata in vigore del Jobs Act e delle tutele crescenti, dall’osservatorio statistico dei consulenti del lavoro e presentata in occasione del Festival del lavoro in corso a Roma.

Dal punto di vista della sopravvivenza (tenuta in vita) dei contratti a tempo indeterminato risulta che, in regime di tutele crescenti, per ogni 100 contratti stipulati circa 7 lavoratori in più conservano il posto di lavoro.

La Fondazione Studi consulenti del lavoro presenta, così, il primo monitoraggio della riforma del mercato del lavoro (Jobs Act) introdotta con la legge delega n. 183/2014 e attuata nel 2015 con diversi provvedimenti normativi. Sono state verificate le variazioni percentuali dell’anno 2015 rispetto all’anno 2014 sulla base di specifiche variabili individuate dall’ufficio statistica e monitoraggio del mercato del lavoro gestito dalla Fondazione Studi.

A distanza di un anno dalla prima applicazione delle tutele crescenti, per ogni 100 contratti tempo indeterminato cessati, il 31,8% è terminato per licenziamento economico (29,2%) o disciplinare (2,6%). Nel 2014, per ogni 100 analoghi contratti cessati con l’applicazione dell’articolo 18, la quota dei licenziamenti era pari al 33,7%, dei quali 31,5% per licenziamento economico e 2,3 per licenziamento disciplinare.

Il campo di osservazione, spiegano i consulenti, si limita ad analizzare i contratti a tempo indeterminato del settore privato. Nel 2015 sono stati attivati complessivamente 1.956.049 contratti a tempo indeterminato, ma nel periodo che va dal 7 marzo al 31 dicembre questi sono stati 1.581.369. L’analisi di sopravvivenza permette di verificare quanti contratti in un certo periodo di tempo risultano essere ancora in vita. Il tempo di osservazione può essere uguale per tutti i contratti osservati o rispetto a una data fissa.

Data la disponibilità dei dati al 31 dicembre 2015, il periodo di osservazione è stato fissato per tutti i contratti alla data del 31 dicembre rispetto al rispettivo anno di stipula. Per valutare il tasso di sopravvivenza si prende a riferimento un collettivo analogo del 2014 e si analizza per lo stesso periodo di osservazione.

Nel 2014 il 31,5% dei contratti, spiegano i consulenti, risultava cessato per motivi economici, mente nel 2015 la percentuale scende di 2,3% attestandosi al 29,2%. Se da una parte il ciclo economico può aver favorito la riduzione dei licenziamenti per motivo economico, non si può dire che l’introduzione tutela indennitaria in caso di licenziamento abbia avuto un effetto incentivante sulle pratiche di licenziamento. Viceversa, la quota percentuale dei cessati per motivi disciplinari non registra significative variazioni.

Si tratta di pochi casi rispetto al totale complessivo dei cessati. L’analisi tendenziale, invece, mette in luce le sub popolazioni per causale. In questo caso, si apprezza un aumento significativo rispetto all’aumento medio del 18,2% per le cause di licenziamento per giustificato motivo soggettivo (+28,6%) e ancora di più per il licenziamento giusta causa (+36,6%). In questo caso, per quanto si tratti di meno del 3% dei cessati, si può intravedere un effetto incentivante della tutela indennitaria a sostegno del licenziamento disciplinare.

L’analisi delle principali altre causali mette in evidenza un incremento sostenuto dei casi di cessazione per mancato superamento del periodo di prova, possibile sintomo di una fase di preselezione meno accurata da parte del datore di lavoro. Anche le dimissioni fanno registrare un incremento di circa 2 punti percentuali rispetto al totale delle cessazioni. Questo dato desta molto interesse alla luce delle novità introdotte sulle procedure delle dimissioni on line. Nel 2014 il settore delle costruzioni faceva registrare oltre la metà delle cessazioni disciplinari o economiche, mentre nel 2015 la sua quota si è ridotta di 5,3 punti percentuali. Viceversa, le attività legate ai servizi turistici e di ristorazione hanno visto un incremento del 4,7% passando dal 14,8% al 19,5% del totale.

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