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8 marzo: donne più brave nello studio ma penalizzate da mercato lavoro

06 marzo 2017 | 16.51
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8 marzo: donne più brave nello studio ma penalizzate da mercato lavoro

Le donne italiane registrano risultati più brillanti lungo il percorso formativo e in quasi tutti gli indirizzi di studio rispetto ai colleghi maschi, ma sul mercato del lavoro scontano ancora un forte divario in termini non solo occupazionali e contrattuali, ma anche e soprattutto retributivi. L’identikit delle performance formative e professionali delle donne, dalla scuola superiore all’università, fino al mercato del lavoro, arriva dalle indagini AlmaDiploma e AlmaLaurea. La lettura dei dati conferma un differenziale a favore dei maschi che non diminuisce con il passare del tempo e permane anche quando le donne intraprendono percorsi disciplinari che offrono maggiori chance occupazionali o dove sono storicamente più presenti.

Il Rapporto 2016 sul Profilo dei diplomati conferma che le donne nel campo della formazione se la cavano meglio dei loro colleghi e questo fin dalla scuola media inferiore, che concludono portando a casa un voto d’esame molto spesso più elevato dei maschi: il 38% delle ragazze contro il 29% dei ragazzi ottiene 9 (su 10) o più. E quando arrivano tra i banchi delle superiori, che siano quelli di un liceo, un tecnico o un professionale, le femmine raggiungono ancora una volta ottimi risultati.

Raggiungono voti più alti: il voto medio di diploma è rispettivamente 78,3 su cento per le ragazze contro 75,2 dei ragazzi, il 39% dedica allo studio e ai compiti a casa più di 15 ore settimanali contro il 16% dei maschi. Compiono, inoltre, più esperienze internazionali: il 41% delle femmine contro il 28% dei maschi, in particolare organizzate dalla scuola. Le ragazze d'altronde intraprendono in maggior misura percorsi formativi linguistici e per questo conseguono anche un maggior numero di attestati (37% contro 28%).

Sono maggiormente impegnate in attività di carattere sociale: il 20% delle ragazze svolge attività di volontariato contro il 14% dei ragazzi. Nel tempo libero intraprendono più attività culturali e non perché devono, ma perché lo vogliono: le svolgono il 55% delle femmine, in larga parte su iniziativa personale, contro il 41% dei loro colleghi. Sono maggiormente interessate a proseguire gli studi soprattutto con l’università: 75% delle ragazze contro il 61% dei ragazzi.

Il Rapporto 2016 sul profilo dei laureati conferma che le donne, nella quasi totalità dei percorsi di studio, continuano ad avere performance più brillanti rispetto ai loro colleghi uomini, sia in termini di regolarità negli studi che di voti. Tra i laureati del 2015, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (60%), la quota delle donne che si laureano in corso è superiore a quanto registrato per i loro colleghi, il 48% contro il 44% degli uomini e il voto medio di laurea è uguale a 103,2 su 110 per le prime e a 101,1 per i secondi.

Non solo, le donne si iscrivono all’università più frequentemente spinte da forti motivazioni culturali (36% contro il 30% degli uomini) e hanno svolto più tirocini e stage riconosciuti dal proprio corso di laurea, il 59% contro il 51% dei maschi. Le laureate, inoltre, provengono in misura maggiore da contesti familiari meno favoriti sia dal punto di vista culturale che socio-economico. Così il 26% delle donne ha almeno un genitore laureato contro il 32% dei maschi. Un differenziale che permane considerando anche la classe sociale: il 20% delle donne proviene da una famiglia di estrazione economica elevata contro il 24% dei loro colleghi. Non stupisce, quindi, che tra le donne, più brave ma provenienti da contesti familiari più svantaggiati, sia maggiore la percentuale di chi ha usufruito di borse di studio: il 24% contro il 19% dei maschi.

Il Rapporto mostra che tra i laureati magistrali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 10 punti percentuali: lavorano 80 donne e 90 uomini su cento. E a cinque anni dal titolo il lavoro stabile diventa una prerogativa tutta maschile: può contare su un posto sicuro, infatti, il 78% degli occupati e il 67% delle occupate. In particolare, ha un contratto a tempo indeterminato il 48% delle donne rispetto al 58% degli uomini. E' naturale che queste differenze siano legate anche alle diverse scelte professionali maturate da uomini e donne; le seconde, infatti, tendono più frequentemente ad inserirsi nel pubblico impiego e nel mondo dell’insegnamento, notoriamente in difficoltà nel garantire, almeno nel breve periodo, una rapida stabilizzazione contrattuale.

Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo. Tra i laureati magistrali che a cinque anni lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale è pari al 20% a favore dei maschi: 1.624 euro contro 1.354 euro delle colleghe. Se è vero che questo risultato è influenzato da diversi fattori, è altrettanto vero che, a parità di ogni altra condizione, gli uomini guadagnano in media 168 euro netti mensili più delle donne. A ciò si aggiunge che il titolo di laurea è efficace per lavorare più per gli uomini che per le donne: rispettivamente l’88,5% contro l’82,5%.

A ulteriore conferma che ancora oggi le donne fanno più fatica dei loro colleghi a realizzarsi professionalmente, basti pensare che a cinque anni dal titolo magistrale svolge un lavoro ad elevata specializzazione (compresi i legislatori e l’alta dirigenza) il 46% delle donne e il 56% degli uomini. La lettura dei dati conferma che le donne sono più penalizzate sul lavoro se hanno figli. Il forte divario in termini occupazionali, contrattuali e retributivi tra maschi e femmine, infatti, aumenta in presenza di figli.

Il differenziale occupazionale a cinque anni dalla laurea sale addirittura a 28 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione è pari all’88% tra gli uomini, contro il 60% delle laureate. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a cinque anni dal titolo lavora il 79% delle laureate senza prole e il 60% di quelle con figli (un differenziale di 19 punti percentuali). Tra i laureati con figli il differenziale retributivo sale al 32%, sempre a favore degli uomini (in tal caso si considerano quanti hanno iniziato l’attuale lavoro dopo la laurea e lavorano a tempo pieno): percepiscono 1.754 euro contro i 1.331 delle colleghe.

I vantaggi della componente maschile sono confermati a parità di gruppo disciplinare, a tal punto che le donne pagano un pegno maggiore, soprattutto in termini retributivi, anche quando intraprendono i percorsi formativi che hanno un maggior riscontro sul mercato del lavoro, come i percorsi di ingegneria, professioni sanitarie, economico-statistico o scientifico. Quando intraprendono la strada delle professioni sanitarie, dove si registrano in entrambi i casi risultati brillanti, le differenze tra uomini e donne permangono: nei tassi di occupazione (97% per i maschi e 94% per le femmine), nella stabilità (rispettivamente 96% e 92%) e soprattutto nelle retribuzioni, rispettivamente 1.733 euro mensili netti contro i 1.434.

Anche per chi opta per Ingegneria, non solo restano marcate le differenza a livello di occupazione (lavorano 90 donne su cento e 95 uomini su cento), ma le donne sono più precarie e percepiscono un guadagno mensile netto di gran lunga inferiore a quello dei loro colleghi. Può contare su un posto sicuro il 78,5% delle occupate e l’85% degli occupati e su una retribuzione di 1.588 euro contro i 1.759 degli uomini.

La situazione non cambia neanche quando scelgono un percorso Economico-Statistico o Scientifico: in questo caso non solo restano elevate le differenze occupazionali (rispettivamente 89% contro il 92% dei maschi; 80% contro il 90%), e contrattuali (il 77% contro l’83% sono stabili; 58 contro il 69%), ma anche le retribuzioni sono sempre inferiori: 1.423 euro contro il 1.638 euro e 1.494 contro il 1.810. E nei percorsi dove storicamente la presenza femminile è più marcata come nell’Insegnamento, in ambito Letterario, Psicologico e Linguistico? Anche in questo caso il divario tra femmine e maschi permane.

Così, laddove le differenze a livello retributivo calano come nel Letterario e Insegnamento (1.234 euro mensili netti per donne contro 1.331 euro percepiti dai colleghi; 1.227 contro i 1.304), le donne restano comunque penalizzate: hanno meno chance occupazionali dei loro colleghi (rispettivamente 71% contro il 75%; 77% contro l’87%), e una minore stabilità (48,5% contro il 54%; 66,5% contro il 70%). Se puntano alla strada della Psicologia, gli uomini non solo sono più occupati (87% contro il 78%) ma anche più stabili (78,5% contro il 69%) e percepiscono guadagni superiori (1.435 euro contro 1.190) delle colleghe.

Nel solo indirizzo di studio in cui le donne hanno la meglio dal punto di vista occupazionale rispetto ai loro colleghi, il percorso Linguistico (lavora l’86% delle femmine contro il 79% dei maschi), dove possono contare anche sullo stesso livello di stabilità (in entrambi i casi 54%), le retribuzioni sono di gran lunga a favore dei maschi (1.453 euro contro 1.331). Le donne ottengono voti di laurea leggermente inferiori agli uomini solo nei gruppi Letterario e Insegnamento (differenze sotto il mezzo punto su 110). Le donne risultano meno regolari degli uomini solo nel gruppo Chimico-farmaceutico (-2,5 punti percentuali di laureati in corso). Le donne hanno un background socio-culturale più favorito degli uomini solo nei gruppi Ingegneria e Architettura.

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