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Lavoro: Monster.it, il recruiting si fa anche sui social, 'occhio' sui candidati

12 giugno 2018 | 17.14
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Lavoro: Monster.it, il recruiting si fa anche sui social, 'occhio' sui candidati

Può un recruiter permettersi di ficcare il naso negli affari 'social' di un candidato? Sì, dopotutto è il suo mestiere. La pensa così almeno più della metà dei partecipanti a un sondaggio pubblicato su Monster.it, la multinazionale del recruiting online, che ha chiesto ai suoi utenti un’opinione sul fatto che le imprese, nella fase di recruiting, acquisiscano informazioni sui candidati anche attraverso i loro profili social.

Degli oltre mille partecipanti all’indagine (1.252 le risposte complessive raccolte), più di uno su tre, ovvero il 30,99% del totale (388 voti), si è detto favorevole a questo atteggiamento, preferendo alle altre la risposta: 'Sono assolutamente d’accordo: penso che le aziende debbano conoscere al meglio un candidato'. Più o meno dello stesso avviso anche il 28,91% degli intervistati, equivalente a 362 aderenti all’indagine, che alla stessa domanda hanno indicato, tra le risposte suggerite: 'Sono d’accordo: ne sono consapevole e condivido informazioni che mi facciano guadagnare il rispetto del recruiter'.

Per il 59,9% dei partecipanti al sondaggio Monster, insomma, lo 'spionaggio' che le imprese, attraverso i propri recruiter, eserciterebbero sui candidati, non costituisce alcun problema. Anzi, per una fetta consistente di loro, sapere che i propri canali social non professionali possano concorrere, tanto quanto un curriculum o una lettera di presentazione, a tracciare una migliore definizione del proprio profilo complessivo, rappresenta addirittura una preziosa opportunità in chiave personal branding.

Da cogliere, a quanto pare, facendo il gioco stesso delle aziende. Condividendo cioè contenuti che possano irrobustire in una qualche misura la propria web reputation.

Di avviso diametralmente opposto è, invece, il 28,51% dei votanti che ha dichiarato a Monster di non essere affatto favorevole a questa attitudine delle imprese. Ritenendola, anzi, una pratica addirittura scorretta e irregolare. Sono stati 357 i voti di chi all’indagine ha risposto: 'Sono totalmente in disaccordo: credo che sia violazione della privacy'.

Meno severo nel giudicare l’opportunità dei professionisti Hr di ricavarsi informazioni sui candidati attraverso i social, ma non meno contrariato dall’attitudine - ritenendola per lo più poco praticata dai recruiter - è stato infine quel 11,58% dei partecipanti, equivalente a 145 voti complessivi, che ha scelto tra le quattro risposte al quesito: 'Sono in disaccordo: non credo che i recruiter facciano delle analisi così approfondite'.

"Il sondaggio pubblicato sul nostro sito mette in luce con grande evidenza la diversità dei due metodi di approccio che caratterizzano oggi la ricerca di lavoro", ha spiegato Elisa Schiavon, marketing manager di Monster Italia.

"Da un lato -ha continuato- c’è chi vede nel web una grande opportunità per mettere in risalto le proprie abilità, partecipando attivamente alla creazione della propria reputazione digitale, mediante la condivisione di contenuti che diano un’idea della persona e della personalità che sta dietro quel social, e dall’altro c’è chi, invece, considera i social come degli 'spazi privati', teoricamente inviolabili, che non dovrebbero in alcun modo modificare la percezione del professionista che gli sta dietro. Una sola opinione giusta non esiste, esistono però i fatti".

"E i fatti dicono -ha concluso- che le imprese, quindi i recruiter, utilizzano anche i social per avere un’idea più dettagliata dei candidati con cui entrano in contatto. Non tenerlo in considerazione sarebbe sbagliato. Alle ragazze e ai ragazzi che incontriamo nelle università ogni settimana, per spiegare loro l’importanza di una condotta di buonsenso in rete, diciamo sempre di provare a digitare il proprio nome sui diversi motori di ricerca. E di rispondere, una volta analizzato il materiale offerto dalla rete, a domande come questa: lo assumerei uno così nella mia azienda?".

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