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Lavoro: Cnel, aumenta occupazione, ma è una 'via bassa' alla crescita

06 dicembre 2018 | 16.32
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La presentazione del Rapporto Cnel 2018
La presentazione del Rapporto Cnel 2018

Una via 'bassa' alla crescita', perché negli ultimi anni la ripresa dell’economia ha creato sì molti posti di lavoro, recuperando i livelli pre-crisi, ma il volume di lavoro (cioè le ore lavorate) è ancora inferiore a quei livelli. Non solo: la crescita dell’occupazione ha aumentato differenze di genere e gli squilibri territoriali fra Nord e Sud del Paese, sono aumentati gli occupati con orari ridotti, sono aumentati i lavoratori part-time (soprattutto donne e spesso involontario). E la crescita del lavoro è 'polarizzata': da una parte sulle basse qualifiche, dall'altra sulle super-specializzazioni, mentre la disoccupazione rimane alta (10,6%), soprattutto tra i giovani (30,4%). E' il quadro a luci e ombre dipinto dal 'Rapporto 2018 sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva' del Cnel presentato questa mattina a Roma.

Il 'Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva 2018' è il risultato della collaborazione di esperti Cnel, ricercatori Anpal e Inapp, accademici ed esperti di diversi Centri di ricerca di interesse nazionale. Il Cnel con questo Rapporto intende fornire alle istituzioni e alle parti sociali spunti di riflessione e concrete proposte di policy.

"Abbiamo perso lavoro nelle qualifiche intermedie -ha spiegato Claudio Lucifora, dell'Università Cattolica e consigliere Cnel, illustrando i dati- e comunque l'occupazione cresce di più sulle basse qualifiche che non sulle alte. Hanno creato posti settori come gli alberghi, la ristorazione, i trasporti. Tutti settori segnati da una forte stagionalità, cosa che ha spostato i nuovi contratti sul tempo determinato". Dal Rapporto del Cnel emerge chiaramente come sia cambiata la platea degli occupati. La parte del leone nella crescita la fa il lavoro a tempo determinato: +35% nel periodo che va dal 2014 al 2018 (II semestre), equivalente a +800.000 occupati. Fra questi, l'85% ha contratti che non superano i 12 mesi e, in alcuni comparti, i lavoratori a termine sono il 30% del totale. Di pari passo, il Cnel segnala il rallentamento dei contratti a tempo indeterminato: nello stesso periodo +460.000 unità (e meno trasformazioni), con il contratto a tutele crescenti che rappresenta il 16% delle assunzioni. Anche il lavoro autonomo perde 117.000 occupati, trend dovuto all'abolizione delle co.co.pro e al progressivo spostamento di questi lavoratori verso i contratti a termine.

L'altro preoccupante fenomeno segnalato dal Cnel è l'aumento del lavoro povero: 3 milioni di lavoratori in Italia versano in condizioni di povertà assoluta, cifra che aumenta a 5,2 milioni se consideriamo il reddito annuale (invece che mensile). In totale 2,2 milioni di famiglie povere (con un componente occupato), oltre un terzo nel Sud Italia. Questo a testimoniare che la povertà "non è solo legata alla mancanza di lavoro", come ha ben sottolineato il presidente del Cnel, Tiziano Treu.

Il problema del lavoro povero non sta solo nel dato dei bassi salari (e nell'erosione dei minimi dei ccnl), ma dipende da una serie di fattori congiunti: "Bassa intensità di lavoro (ossia meno ore lavorate), occupazione precaria -ha spiegato Lucifora- e poco qualificata, compressione costi-salari, concentrazione in settori (agricoltura, costruzioni e servizi: alloggio e ristorazione, servizi sociali e alle persone)". Di fronte a questo scenario, quali politiche hanno la priorità? "Occorre capire se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto", ha sottolineato Paolo Sestito, economista della Banca d'Italia, che parte dal problema dei salari bassi. "Lo sono perché - ha chiarito - sono troppo bassi i minimi orari o perché assistiamo a una ridotta 'presa' del ccnl a causa dell'accresciuta povertà? E basterebbe alzare il minimo orario per risolvere il problema? Sicuramente questo può aiutare, ma occorre considerare che c'è anche un problema relativo al ridisegno del prelievo fiscale in busta paga, e non solo. E che i mezzi di contrasto alla povertà sono anche altri come: facilitazione della mobilità territoriale, esercizio dei diritti di cittadinanza, riduzione dei vincoli di cura familiare che ostacolano l'accesso al lavoro".

Sbagliato, per Sestito, poi, "mettere i bastoni tra le ruote al lavoro a termine". "Sia il dl Poletti sia il Jobs Act -ha detto Sestito- sono stati efficaci: il primo maggiormente nelle imprese più piccole, il secondo in quelle più grandi". "Oggi siamo di fronte a politiche che vanno nel senso opposto e staremo a vedere se miglioreranno il quadro. Qualche dubbio però viene: si vogliono limitare i contratti a termine e aumentare di molto i costi del licenziamento. La scommessa, giusta o sbaglia che la si giudichi, del governo precedente era ridurre i costi medi del licenziamento e ridurre l'incertezza per il datore e il lavoratore. Ora invece si aumentano i costi e l'incertezza", ha concluso Sestito.

Dei centri per l'impiego, vero snodo per il reddito di cittadinanza, ha parlato invece Maurizio Del Conte, presidente di Anpal. "I centri per l'impiego sono sottodimensionati sotto ogni punto di vista", ha detto. "Sicuramente -aggiunge Del Conte- un aiuto alla loro efficienza potrebbe venire dalle nuove tecnologie e da un sistema unico che metta in rete gli operatori. Ma è anche vero che qualunque rafforzamento dei centri per l'impiego non ha senso, se non si hanno chiari la funzione dei centri pubblici e il rapporto con gli altri soggetti coinvolti nelle politiche attive". "C'è bisogno -chiede Del Conte- di un'indicazione politica precisa. In questi giorni si sta preparando una norma sul reddito di cittadinanza: mi auguro che lì saranno spiegati bene i vari passaggi". Alla presentazione del rapporto si è parlato anche della manodopera intermediata dai centri per l'impiego, attualmente assestata sulla bassissima percentuale del 2-3%. "Per il reddito di cittadinanza -ha spiegato Del Conte- si parla di una platea di 5-5,5 mln di persone, caratterizzata da condizioni di povertà assoluta. Una dimensione difficile da trattare nei centri per l'impiego e che dovrebbe coinvolgere i servizi sociali".

Inoltre, "nell'ambito del processo di ri-costruzione dei centri per l'impiego -ha osservato il presidente dell'Anpal- è centrale una chiara indicazione di governance e di coordinamento, e quindi occorre chiarire il ruolo di Anpal nel futuro". "Quando poi si parla di nuove assunzioni per il personale dei centri per l'impiego, bisogna mettere sul tavolo dei numeri: chi si vuole assumere, quante persone, e come lo si vuol fare. E' chiaro che non possiamo più immettere altro personale precario. Insomma, se le risorse ci sono, bisogna fare in modo che siano dedicate a un piano ben congegnato", ha concluso Del Conte.

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