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Pensione, l'appello di Damiano e Sacconi: "Rinviare adeguamento età"

11 luglio 2017 | 15.30
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Cesare Damiano e Maurizio Sacconi (profilo Twitter)
Cesare Damiano e Maurizio Sacconi (profilo Twitter)

Lavorare ad un rinvio strutturale dell'adeguamento dell'età di pensionamento alle aspettative di vita. E' questo l'appello che i presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, girano a Governo e Parlamento nel tentativo di scongiurare l'aumento automatico dell'età pensionabile a 67 anni (66+11 mesi per l'esattezza) che potrebbe scattare già dal prossimo autunno, con una semplice atto amministrativo, per entrare in vigore, come previsto dalla riforma Fornero, dal 1 gennaio 2019. Gli effetti dirompenti di questo automatismo che peraltro dal 2019 scatterebbe ogni 2 anni e non più ogni 3, stanno tutti in una tabella, nota da tempo, il cui impatto però , dicono ad una sola voce, resta "inconcepibile oltre che irragionevole": dai 67 anni del 2019, infatti, si passerebbe ai 67+3 mesi nel 2021, ai 68+1 mese nel 2031, ai 68+11 mesi nel 2041 fino ai 69+9 mesi , quasi 70) del 2051.

La questione, dunque, va "affrontata tempestivamente" chiede Damiano e con "nuove norme strutturali che non solo consentano di evitare il gradino del 2019 ma che distribuiscano nel corso del tempo l'aumento dell'età previsto". La strada potrebbe essere quella "di saltare un giro" o di "adeguare il sistema ogni 5 anni". Ma l'importante, anche per Sacconi, è che si fermi un meccanismo "inaccettabile e irragionevole" e che si riportino le regole "ad una dimensione umana perchè una logica tecnocratica ci ha portato troppo oltre", continua con un inaspettato mea culpa: "sono il padre del legame tra età e aspettative di vita ma l'elaborazione attuariale della Fornero ha portato ad una plateale esagerazione. Serve un paletto e l'apertura di una riflessione più ampia, aperta e laica".

A peggiorare il quadro per i futuri pensionati, già condannati con l'automatismo sull'età pensionabile a vedersi applicati una sorta di 'scala mobile' sui criteri di accesso, "ogni due anni cambia l'età di riferimento", dice ancora Damiano, anche il meccanismo legato ai coefficienti di trasformazione, quei valori che concorrono al calcolo dell'assegno maturato con criteri contributivi. La riforma Fornero infatti, spiega Sacconi, utilizza questi coefficienti per 'riequilibrare' eventuali aumenti fuori misura con il paradosso, denuncia, di penalizzare chi ha lavorato più a lungo. Così non solo si andrebbe in pensione a 70 anni dal 2051 ma con assegni mediamente più bassi. "Quando è troppo è troppo", annota ancora ricordando come tutto il meccanismo in azione dal 2019 in poi penalizzerebbe soprattutto le donne. Senza contare che il paletto a 67 anni di età è sconosciuto ai maggiori partner europei ad eccezione della Germania che però "diluisce nel tempo" questo aumento. L'automatismo inoltre smentirebbe quella flessibilità all'uscita sancita con l'Ape social e l'Ape volontaria sancita dall'accordo tra Governo e sindacati appena pochi mesi fa.

L'appello dei due parlamentari, "la strana coppia" come ribattezzata dallo stesso Sacconi, appoggia dunque anche gli sforzi di Cgil, Cisl e Uil che in questi mesi hanno cercato di riportare il tema al tavolo di confronto e che per giovedì hanno proclamato un'Assemblea unitaria per fare il punto della situazione. Per ora però i risultati languono. I tavoli tecnici in corso sulla fase due dell'intesa sulla previdenza, infatti, non sembrano in grado di poter aprire, al momento, uno spiraglio nella discussione. Ed è anche al Parlamento che Damiano e Sacconi guardano con speranza. "Fermi restano gli obiettivi di lungo periodo auspico un percorso unitario e di buon senso che aiuterebbe la società anche a ritrovare fiducia nel sistema previdenziale, a partire dai giovani", concludono.

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