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Clima: al 2050 stimati 250 mln rifugiati ambientali

02 dicembre 2015 | 15.47
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Syrians try to climb the fence while hundreds of refugees wait at the Syrian side of the border crossing in Akcakale, Sanliurfa province, south-eastern Turkey, June 14 2015. They are trying to cross to the Turkish side as they are fleeing from the fighting between the Kurdish People's Protection Units (YPG) military group and Islamic State (ISIS). Photo by Ebrahem Khadir/ UPI - Infophoto - INFOPHOTO
Syrians try to climb the fence while hundreds of refugees wait at the Syrian side of the border crossing in Akcakale, Sanliurfa province, south-eastern Turkey, June 14 2015. They are trying to cross to the Turkish side as they are fleeing from the fighting between the Kurdish People's Protection Units (YPG) military group and Islamic State (ISIS). Photo by Ebrahem Khadir/ UPI - Infophoto - INFOPHOTO

Dal dopoguerra a oggi, ben 111 conflitti nel mondo sono da imputarsi a cause ambientali. Di questi, tra i 79 ancora in corso ben 19 sono considerati di massima intensità (livello 4 su una scala da 1 a 4), stando a quanto rileva un recente report commissionato dai Paesi del G7 all’istituto tedesco Adelphi con il sostegno del ministero degli Esteri tedesco. Un lungo elenco di tragedie e catastrofi che, secondo gli ultimi dati del Unhcr, si stima possa generare fino a 250 milioni di rifugiati ambientali al 2050.

Tema al centro dell'incontro “La sfida del clima per la sicurezza e la pace” organizzato oggi alla Camera dei Deputati dall’Intergruppo bicamerale per il clima Globe Italia. Cambiamento climatico come “moltiplicatore di minaccia” per la sicurezza globale che può rendere più vulnerabili situazioni già critiche e generare sconvolgimenti sociali e conflitti violenti.

Conflitti come quello civile in Siria, dove fra il 2006 e il 2011 si è avuta la siccità più lunga e la perdita di raccolti più grave mai registrate fin dai tempi delle prime civiltà nella Mezzaluna fertile. Su 22 milioni di abitanti, oltre un milione e mezzo è stato colpito dalla desertificazione, che ha provocato massicce migrazioni di contadini, allevatori e famiglie verso le città. Nel 2002, abitavano le città siriane 8,9 milioni di persone; alla fine del 2010, il numero era salito a 13,8 milioni.

Cop21 occasione per l'ambiente e per la pace globale

E ancora le guerre per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi che hanno distrutto gli ecosistemi in Nigeria, o la guerra civile in Darfur che vede nell’accesso alle risorse idriche una delle sue cause. E poi le rivolte per l’espropriazione delle terre e la deforestazione a danno dei coltivatori e degli indigeni in Cambogia, o l’immigrazione clandestina dal Bangladesh alla regione indiana dell’Assam causata dai mutamenti climatici e i conseguenti conflitti con le popolazioni autoctone.

O infine lo scontro tra le fazioni di Jikany Nuer e Lou Nuer nel Sud del Sudan per il controllo delle scarse risorse idriche, o i conflitti legati alla costruzione della diga Sardar Sarovar sul fiume Narmada in India.

“Raggiungere un accordo forte e inclusivo alla Cop21 a Parigi che contenga il riscaldamento globale entro i 2 gradi, o meglio ancora entro 1,5 gradi, vuol dire anche combattere il terrorismo e una delle maggiori minacce alla sicurezza globale - commenta la presidente dell’Intergruppo Globe Italia Stella Bianchi - Ogni successo che otteniamo nel ridurre il riscaldamento globale è un passo avanti per disinnescare conflitti violenti, inevitabili quando vengono a mancare acqua o terra da coltivare".

Le eco-guerre: qualche dato

Le risorse idriche siriane dipendono in gran parte anche dalla portata dei fiumi che scendono dalle montagne della Turchia che controlla l’alto corso del Tigri e dell’Eufrate. Sono 14 le dighe sul corso dell’Eufrate e 8 quelle sul corso del Tigri, 19 centrali idroelettriche che hanno determinato una riduzione di portata dell’Eufrate in Siria del 40% e la riduzione di portata dell’Eufrate in Iraq del 90%.

Il controllo dei fiumi e delle risorse idriche è uno dei maggiori fattori di tensione a livello internazionale. Secondo il World Watch Institute “l’alterazione delle precipitazioni potrebbe accrescere le tensioni rispetto all'uso dei corpi idrici condivisi e aumentare la probabilità di conflitti violenti sulle risorse idriche. Si stima che circa 1,4 miliardi di persone già vivono in aree sotto stress idrico. Un numero che al 2025 potrebbe arrivare fino a 5 miliardi di persone".

Sempre secondo l’istituto di ricerca di Washington “gli impatti diffusi dei cambiamenti climatici potrebbero portare a ondate migratorie, minacciando la stabilità internazionale. Si stima che entro il 2050, ben 250 milioni di persone potrebbero essere fuggite da aree vulnerabili per l’innalzamento del mare, tempeste o inondazioni, o terreni agricoli troppo aridi per coltivare".

quando le risorse idriche generano conflitti

Cina, Nepal, India e Bangladesh si confrontano intorno ai fiumi che hanno origine dall’Himalaya. In Asia centrale, Tagikistan e Turkmenistan stanno costruendo enormi infrastrutture sui corsi d’acqua che minacciano i Paesi a valle, come l’Uzbekistan. Sul Nilo si preannunciano forti tensioni dal momento che l’Etiopia sta innalzando la Grande Diga della Rinascita, che potrebbe cambiare il destino economico del Paese ma anche la portata del fiume in Egitto. Tutti i fiumi del Sud-est asiatico originano in Cina, corsi d'acqua da cui dipendono 1,5 miliardi di persone, fuori dalla Repubblica popolare.

Attualmente nel mondo si contano 261 bacini idrici internazionali suddivisi tra 145 nazioni nei quali risiede più del 40% della popolazione mondiale. I bacini idrici del Nilo, Tigri-Eufrate, Mekong, Giordania, Indo, Brahmaputra e Amu Darya sono soggetti a uno sfruttamento intensivo e rischiano di alimentare i conflitti tra le nazioni che li condividono. Il rapporto della Cia “Global Water Security” le ha indicate come le aree del pianeta a maggiore rischio.

Secondo il rapporto, la scarsità di acqua ostacolerà la produzione di cibo e la produzione di energia in paesi chiave, rappresentando così un rischio per la sicurezza alimentare globale. Il Nord Africa, il Medio Oriente, il sud est asiatico si troveranno ad affrontare grandi sfide che riguardano il loro sviluppo economico e demografico.

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