Un fatto di sangue realmente accaduto nell'Ottocento. E' questo l'ingrediente principale del romanzo 'Nostra Signora degli scorpioni' (Sellerio editore Palermo, 435 pagg., 15 euro) di Nicola Fantini e Laura Pariani, da qualche giorno in libreria. Un romanzo di atmosfera e di mistero, segnato da una densa malinconia, e richiama la letteratura che attraverso il delitto si immerge negli abissi dellio. Siamo nell'autunno del 1869, a Orta. Un borgo tranquillo e forse intorpidito, solo con un fremito di animosità verso i forestieri. Ci vive Enrico Costa, detto il Francesino, ultimo figlio di una famiglia proprietaria squassata dalla disgrazia. Vi soggiorna il grande scrittore Dostoevskij, in cerca di un riparo appartato dallassillo dei creditori, vi scorrono le esistenze immutabili di tanti, ciascuno col suo soprannome, ciascuno con la smorfia tipica del volto che svela a tutti carattere e destino, ciascuno tormentato da qualcosa di indicibile. Perché qui, cinquantasei anni prima, è avvenuto un macabro delitto, di quelli germinati nel torbido di una famiglia e nellodio di famiglie tra loro.
Teodoro Costa, bisnonno di Enrico, è stato ucciso con feroce violenza. Facilmente, la giustizia ha trovato il colpevole nel figlio Demetrio, ghigliottinato dopo un rapido processo. Tutta la famiglia dispersa. Tornato dalla Francia, dove il nonno sera stabilito seguendo larmata napoleonica, lancor giovane Enrico il Francesino non è mai stato ben accolto in paese. Poeta e scrittore, ha sempre avuto il desiderio di scrutare nelloscurità intorno alla storia dei suoi avi. Inoltre, un rasoio e un messaggio cifrato ritrovati per caso, gli sembrano una combinazione troppo azzardata per non essere un messaggio. Il suo itinerario progressivo, di verità e di liberazione, sincontra con la curiosità intellettuale di Fedja Dostoevskij, che invece è motivato dallinquietudine e dal continuo interrogarsi sulla colpa e sullodio alla base della sua ricerca spirituale.
Lentamente, si apre il velo della storia segreta, che è storia di tante vite che portano il proprio tributo di dolore, ingiustizia tragica e vendetta. Una prosa che ricorre spesso al detto e al proverbio, usando il commento corale di una folla di personaggi di sfondo, evoca così in modo palpabile lo spirito dei luoghi, e scolpisce ogni personaggio nella sua unicità.