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APPASSIMENTO DELLE UVE

L’importanza dell’appassimento, tra consuetudini e modernità

27 ottobre 2022 | 09.17
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Dopo la vendemmia e prima della selezione finale, l’appassimento naturale esprime l’arricchimento di acini che modificano la propria composizione, rappresentando la tradizione e la cultura di un territorio. L’esperienza di Tenuta Sant’Antonio.

L’importanza dell’appassimento, tra consuetudini e modernità

Disteso in appassimento c’è il numero massimo delle uve che potevano essere raccolte: 60 quintali per ettaro per un totale di circa 5.000 quintali d’uva (500 tonnellate). “Le uve erano belle, sane, gli acini turgidi, bacche genuine e di qualità” – afferma Armando Castagnedi, titolare con i fratelli Tiziano, Paolo e Massimo di Tenuta Sant’Antonio.

Ma che cosa significa appassimento delle uve? L’appassimento è la prima tecnica vitivinicola che ha scritto la storia e l’economia del territorio della Valpolicella, contribuendo a disegnarne la geografia e l’evoluzione sociale. Un tassello importante che ha scandito i ritmi stagionali e le festività. Se consultassimo un qualunque dizionario della lingua italiana troveremmo che il primo significato del termine “appassimento” è: “perdita di freschezza, avvizzimento” in riferimento a piante, fiori, foglie, frutti. La diminuzione sensibile del turgore cellulare in seguito alla perdita d’acqua per traspirazione, non compensata da adeguata annaffiatura o irrigazione, potrebbe apparire nel caso degli acini d’uva come un’operazione che influenza negativamente le caratteristiche del frutto. In ambito enologico, l’appassimento è una tecnica antichissima che consiste nel far appassire le uve con parziale disidratazione degli acini, prima della pigiatura. La disidratazione porta all’imbrunimento delle bacche, che assumono un aspetto rugoso e raggrinzito oltre a determinate proprietà organolettiche sfruttate per la produzione di una particolare tipologia di vini.

“La tecnologia ha permesso di compiere un’importante svolta nella tecnica di appassimento - continua Armando Castagnedi -. Oggi, ad esempio, lavoriamo con estrema precisione grazie a un software in cui abbiamo inserito una serie di dati raccolti negli ultimi trent’anni. In base all’obiettivo di produzione, decidiamo come impostare il software. Se ad esempio non vogliamo perdere più del 20% del prodotto in un arco di tempo non inferiore a tre mesi, imposteremo i parametri necessari per ottenere questo tipo di risultato. L’appassimento è un processo che deve avvenire molto lentamente: più è lento più è perfetto. Dal 2019 ad oggi, da quando abbiamo avviato questa gestione della tecnica di appassimento abbiamo più resa, più prodotto, più qualità e meno volume alcolico nei nostri vini”.

Un colpo d’occhio immenso, di cassette di uve raccolte a mano, catalogate per tipologia, vigna e data vendemmiale, restituiscono la bellezza di un processo che è cultura e tradizione di un territorio. Un colpo d’occhio che fa davvero impressione. Se lo stabilimento per l’appassimento e il controllo delle uve avrà forse perso forse qualcosa dell’antica allure romantica, quell'aura di eleganza e fascino dei graticci, la produzione ne ha acquistato in qualità. L’aria viene aspirata dall’esterno quando le condizioni climatiche sono migliori (temperatura più fresca, e soprattutto umidità più bassa) e spinta in una sola direzione grazie a grandi ventilatori che permettono una circolazione omogenea all’interno del deposito. L’umidità creatasi dall’uva in appassimento tende a stagnare verso il basso, mentre l’aria calda a rimanere sospesa. Una ventilazione adeguata favorisce le condizioni ottimali di appassimento. “L’appassimento perfetto è un processo lento che si conclude non prima di 90 giorni dalla vendemmia - sottolinea Armando Castagnedi -, generalmente per la nostra azienda dalla metà di dicembre in poi. Appassimento significa concentrazione degli zuccheri che devono avere il tempo necessario per includersi nella polpa e creare quella complessità glicerica che rende il futuro Amarone perfetto, correttamente alcolico, di grande equilibrio e rotondità”. Controlli quotidiani sulla materia prima confermano il risultato di eccellenza dell’evoluzione.

La tradizione e il sentimento hanno lasciato spazio alla moderna tecnologia che Tenuta Sant’Antonio, cantina e azienda nata nel 1995 dall’amore per la propria terra dei quattro fratelli Castagnedi, ha scelto di non rifuggire. Una famiglia e una comune visione, cresciuta nelle dinamiche di una cultura prettamente contadina e che oggi ha lasciato il posto a competenze specifiche e specialistiche. Areali nobili distanti tra loro pochi chilometri ma con personalità ineguagliabili vantano una complessa stratigrafia dei suoli, terreni molto diversi: prima di argilla, marne e suoli vulcanici di lava e rocce nere basaltiche nei luoghi di Soave a Colognola ai Colli; poi di puro calcare a San Briccio, Mezzane, Illasi, per un assemblaggio di territori e di uve, punto di partenza per grandi vini. Vigneti a pergola su crinali che fanno da intermezzo a colline dalla conformità disomogenea: la vallata di Soave, detta anche l’unghia della collina della Valpolicella. E poi la Val Tramigna, considerata da sempre la più ricca di tutte le valli per la presenza di un importante sorgente d’acqua, la Val d’Illasi, la Valle di Mezzane, uno scenario incantevole, una distesa di vigne lavorate in un contesto di biodiversità e sostenibilità che guarda oltre le procedure e le certificazioni. “Il rispetto dei cicli e dei ritmi della naturalità – racconta Armando Castagnedi – sono alla base di quello che facciamo” . Le Single Vineyard, Soave DOC Vigna Monte Ceriani, Valpolicella Superiore DOC La Bandina e lo straordinario Amarone della Valpolicella DOCG Campo dei Gigli, micro areali di eccellenza, parcelle dall’alto valore storico con caratteristiche peculiari, sono l’esempio, la scommessa verso una terra che è nel loro cuore da generazioni. Lavorata, ma soprattutto amata.
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