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Innovazione: Internet of things entra in casa, +23% mercato smart home

23 febbraio 2017 | 13.21
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Innovazione: Internet of things entra in casa, +23% mercato smart home

Si affacciano sul mercato italiano grandi player come Google e Amazon, parallelamente proliferano le soluzioni sviluppate da startup con offerte spesso complementari a quelle dei brand affermati. Compaiono i primi prodotti negli scaffali dei negozi (fisici e online) e cresce l'interesse dei consumatori verso soluzioni sempre più evolute che offrano però le necessarie garanzie di sicurezza e privacy. L'Internet of Things entra nelle case degli italiani e il mercato delle soluzioni IoT per la Smart Home nel nostro Paese vale 185 milioni di euro nel 2016, +23% rispetto all'anno precedente. Ma il suo potenziale è davvero enorme, perché la casa connessa si propone come il fulcro dell'ecosistema 'Internet delle cose', capace di trainare dietro di sé diversi settori chiave del made in Italy.

Sono alcuni dei risultati della ricerca 'Smart Home' dell'Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, presentata questa mattina al convegno 'Smart Home: l’Internet of Things entra dalla porta di casa'.

L'82% del mercato è ancora legato alla filiera tradizionale, composta da installatori e distributori di materiale elettrico, ma cresce la quota dei 'nuovi' canali come retailer, eRetailer e assicurazioni che insieme rappresentano il 18% (circa 30 milioni di euro).

I possibili impieghi sono molti e variegati, però la maggioranza delle oltre 290 soluzioni per la casa connessa censite in Italia e all’estero (il 31%) è dedicata alla sicurezza - tra videocamere di sorveglianza, serrature, videocitofoni connessi e sensori di movimento - seguita dalla gestione energetica, come le soluzioni per il controllo remoto degli elettrodomestici (10%), la gestione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento (8%), il monitoraggio dei consumi dei dispositivi elettrici (10%).

L'offerta di prodotti per la Smart Home è in continuo divenire. Il 68% delle soluzioni sul mercato è 'Do It Yourself', con un processo di installazione semplificato, anche se non tutti gli utenti sono in grado di fare a meno del tecnico: il 70% di chi ha acquistato prodotti connessi si è rivolto a installatori o piccoli rivenditori. Il 52% delle soluzioni oggi è offerto da startup, che spesso sviluppano proposte complementari a quelle dei brand affermati.

Ma in questi mesi si stanno affacciando sul mercato italiano anche i grandi operatori 'Over The Top' con hub dotati di assistente vocale per dialogare con gli oggetti connessi (Google Home, Amazon Echo): l'ingresso dei grandi marchi spingerà certamente lo sviluppo della casa connessa, renderà più facile l'interoperabilità tra i vari oggetti (che resta ancora una grande barriera) e sarà fondamentale per aumentare la fiducia dei consumatori.

“L’Internet of Things - dice Angela Tumino, direttore dell'Osservatorio Internet of Things - sta iniziando a entrare nelle case degli italiani, ma quello a cui stiamo assistendo è solo l'inizio di un percorso di crescita dal grande potenziale. Verso la casa connessa, infatti, oggi si muovono grandi player globali, startup, retailer, produttori, assicurazioni, utility e operatori delle telecomunicazioni. Per aprire davvero la porta all'innovazione è fondamentale offrire nuovi servizi ai consumatori: quelli più elementari come l’installazione, ancora indispensabile per una fetta importante della popolazione, e quelli evoluti che possano convincere gli utenti ancora scettici sul valore di una casa connessa”.

“Le applicazioni Smart Home consentono di raccogliere moltissimi dati sul funzionamento dei dispositivi connessi e sul comportamento delle persone nell’abitazione: questo sarà uno degli aspetti cruciali per lo sviluppo del mercato, anche se le strategie per la valorizzazione dei dati sono ancora poco definite dalle aziende", aggiunge Giulio Salvadori, ricercatore dell'Osservatorio Internet of Things.

"Ed è fondamentale prestare molta attenzione alla tutela della privacy e della sicurezza, perché i consumatori sono tendenzialmente restii a condividere i propri dati, a meno di ricevere in cambio vantaggi concreti”, conclude.

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