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Lo psichiatra: ''Selfie estremo per dare importanza a esistenza, sfondo insolito aumenta riconoscimento''

27 ottobre 2021 | 17.01
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Stanghellini: "L'essere riconosciuti è, per qualcuno, più importante della vita stessa"

 (Bloomberg photo)
(Bloomberg photo)

''L'essere riconosciuti è, per qualcuno, più importante della vita stessa''. E quello che ''dà importanza al soggetto'', nel mezzo della ''epidemia dei selfie'' che viviamo, è ''il contesto emozionante e lo sfondo insolito che fa da contorno'' a un ''autoritratto sui generis''. Di qui ''la ricerca di uno sfondo estremo per attirare attenzione e riconoscimento''. Perché il contenitore è più importante del contenuto, ''facendoci riflettere sull'inconsistenza dell'esistenza, un'assenza di carne, un'anoressia''. Così lo psichiatra e psicoterapeuta Giovanni Stanghellini, autore di 'Selfie. Sentirsi nello sguardo dell'altro' edito da Feltrinelli, commenta con Adnkronos i dati dello studio spagnolo della iO Foundation che parlano di circa 380 persone morte, dal 2008, mentre si scattavano un selfie. ''Il selfie non è una pratica suicidaria, non è ritrarsi nell'arte suicidio. Queste sono morti accidentali che accadono nel momento in cui, per essere riconosciuto, mi colloco in un contesto emozionante e insolito'', spiega lo psichiatra.

''L'essere visti, l'essere riconosciuti, per molti, soprattutto giovani, passa dalle visualizzazioni e dai like'', prosegue Stanghellini sottolineando come il bisogno di riconoscimento ''non sia nuovo'', ma al contrario ''è una caratteristica fondamentale dell'esistenza umana'' dal quale dipende la definizione di identità. ''Noi umani non possiamo fare a meno della necessità di rispondere alla domanda: chi sono?'', aggiunge. Docente di Psicologia dinamica all'Università di Chieti-Pescara e direttore della Scuola di Psicoterapia fenomenologico-dinamica di Firenze, Stanghellini definisce quindi i selfie come ''uno dei dispositivi nel mondo contemporaneo del riconoscimento''.

''Il selfie è un autoritratto molto sui generis. Perché in realtà il selfie, più che ritrarre il soggetto, ritrae una persona in un luogo. Ed è questo luogo che mi dà importanza. E' lo sfondo, e non la figura, che mi dà importanza'', spiega, sottolineando che ''un selfie in una galleria di arte o su una tavola in un mare in tempesta non è la stessa cosa''. Nulla di nuovo, tiene a sottolineare, se non il mezzo. A proposito cita il film 'L'incompreso' di Comencini e ricorda come il maggiore dei due bambini protagonisti ricorresse a pratiche estreme, si attaccasse a un ramo di un albero, ribattezzato l'audaciometro, contando quante volte scricchiolava. ''Esisto solo se sono guardato, ci stanno dicendo i ragazzi e le ragazze di oggi'', prosegue lo psichiatra. Giovani per i quali ''lo sguardo dell'altro diventa di vitale importanza, unico modo per sentirsi qualcuno. Protesi de sé''. Senza c'è la ''difficoltà a sentirsi nel proprio corpo, a riconoscere le proprie emozioni. A chiudere gli occhi e a sentire desiderio, rabbia, tristezza. Tutto ciò che mi dà contenuto...''.

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