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Petrolio: Wisdom Tree, Opec non arresterà la rivoluzione shale Usa

05 febbraio 2015 | 13.20
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Per Viktor Nossek, responsabile ricerca di Wisdom Tree Europe, la ripresa dei prezzi del petrolio sarà possibile solo se il cartello dei Paesi produttori abbandonerà l'obiettivo di far fallire i trivellatori americani di olio di scisto.

Un oleodotto in Alaska (Infophoto).
Un oleodotto in Alaska (Infophoto).

E' molto difficile che l'Opec, il cartello dei Paesi produttori di petrolio, riesca a fermare la rivoluzione in atto nel mondo dell'oro nero ad opera dei produttori di olio di scisto, o shale oil, degli Usa. Ne è convinto Viktor Nossek, responsabile ricerca di Wisdom Tree Europe.

"La ripresa delle quotazioni del greggio - afferma Nossek - potrebbe realisticamente avvenire solo se l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) rinunciasse al proposito, nell’intento di preservare la propria quota di mercato, di far fallire i produttori di shale oil statunitensi".

"In assenza di un’inversione di rotta - continua Nossek - la dichiarata volontà dell’Opec di non cedere nemmeno a fronte di prezzi parecchio inferiori ai 50 dollari al barile indica che l’eccesso di offerta difficilmente sarà assorbito in tempi rapidi. Sono inoltre poco chiare le eventuali ripercussioni sulla produzione di olio di scisto negli Stati Uniti".

"Grazie al consolidamento dell’industria e ai costanti progressi delle tecniche di trivellazione orizzontale - prosegue l'esperto - i grandi produttori stanno ottenendo ottimi risultati nonostante i prezzi in picchiata e, al contempo, stanno sviluppando maggiori capacità di superare la turbolenza. Il governo Usa ha inoltre un forte interesse strategico nel proteggere il settore e potrebbe sempre decidere d’intervenire con sovvenzioni o incentivi fiscali in caso di necessità".

Per Nossek "la strategia dell’Opec danneggerà i produttori di shale oil statunitensi e ne modificherà contemporaneamente il quadro competitivo, visto che stiamo già assistendo a una drastica riduzione del numero d’impianti di perforazione di nuovi pozzi petroliferi, ma difficilmente inciderà in misura concreta sulla produzione aggregata dell’olio di scisto negli Stati Uniti. E’ possibile che rallenti la traiettoria di crescita ma non riuscirà a invertirla".

La Cina, prosegue l'economista, "sta adottando un diverso approccio nella gestione della propria economia. L’attenzione prestata dalle autorità alla disciplina di mercato, maggiore rispetto a quanto avvenuto nei precedenti periodi di contrazione economica, rende inverosimile un rimbalzo della fiacca attività manifatturiera (si osservi la debolezza dei dati dell’indice Pmi dal 2012 in avanti) a livelli tali da riaccendere un nuovo super-ciclo delle commodity".

Questa politica governativa, continua Nossek, "si esplica tramite vincoli sia fiscali che monetari. Poiché la leva operativa e finanziaria delle imprese resta elevata, la Cina deve ancora controllare la decelerazione dell’attività se vuole evitare un crash. E' poco realistico pensare che con il nuovo e più equilibrato approccio le autorità del Dragone possano mai stimolare il sentiment verso il petrolio come avvenuto nel corso degli ultimi dieci anni".

"E’ difficile quantificare il contributo della Cina all’aumento delle quotazioni - prosegue Nossek - ma, fin dall’accelerazione della crescita nel periodo compreso tra il 2001 e il 2008, i prezzi del petrolio sono saliti considerevolmente sia in termini reali che nominali".

"Anche dopo la correzione in base ai prezzi al consumo Usa (core) - continua l'economista - il prezzo del petrolio reale corretto per l’inflazione è elevato, se lo si raffronta al periodo che va dalla correzione dovuta agli shock dell’offerta provocati dalla crisi petrolifera del 1979 al 2001, anno in cui ebbe inizio l’accelerazione della crescita in Cina e con essa il boom del super-ciclo delle commodity".

"Nonostante il crollo delle quotazioni - continua Nossek - la chiusura delle posizioni speculative che ha intensificato la pressione ribassista sul petrolio già dall’estate del 2014 non si è ancora conclusa. Attualmente, gli investitori detengono sul Nymex, il principale mercato mondiale dei future sulle commodity, posizioni speculative nette lunghe per un ammontare di 324mila contratti sul greggio Wti: il 12% delle posizioni aperte, dato nettamente superiore agli standard storici".

"Se le posizioni net long scendessero di 200mila contratti - prosegue l'economista - tornando cioè ad attestarsi a un livello più normale del 5%, i prezzi del petrolio subirebbero nuove pressioni al ribasso, nonostante la stagione invernale solitamente sia favorevole a un sentiment rialzista. Gli Etp short oil si dimostrano strumenti di copertura efficienti durante fasi direzionali al ribasso".

"Di recente - rileva Nossek - gli Etp short a leva che replicano le commodity del settore Energia hanno registrato un ottimo andamento. Un Etp short a leva tripla (3x) che replica il greggio Wti, come il Boost Wti Oil 3x Short Daily Etp (3OIS), ha reso agli investitori ben il 167% (dal 1 dicembre 2014 al 30 gennaio 2015). Insieme al calo del 28% riportato dal greggio Wti durante lo stesso periodo - prosegue l'economista - ci dimostra che gli Etp short a leva consentono agli investitori di esprimere in maniera efficiente una convinzione ribassista o di costruire una copertura che richieda capitali inferiori".

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