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Lotti: "Vi spiego perché sono rimasto nel Pd"

21 settembre 2019 | 10.49
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"Per me la casa dei riformisti non può essere che il Partito democratico"

(Fotogramma/Ipa) - FOTOGRAMMA
(Fotogramma/Ipa) - FOTOGRAMMA

''Oggi la sfida si gioca tra il populismo e il riformismo, nella consapevolezza che la parte più difficile tocca a chi ritiene che le giuste istanze popolari cui la politica deve dare risposte debbano necessariamente fare i conti col principio di realtà. E questo è il compito, appunto, dei riformisti. In Italia, in questo momento storico, per me la casa dei riformisti non può essere che il Pd, l’unica forza davvero democraticamente contendibile, in cui fin dalla sua nascita si confrontano idee diverse ma sempre compatibili nella visione di un progetto comune". Lo scrive sul Foglio l'ex ministro dello Sport Luca Lotti, spiegando la sua decisione di rimanere nel Pd e di non andare con Renzi nella nuovo movimento 'Italia Viva'.

''Sono convinto che le correnti siano una ricchezza per rendere una vita di partito profondamente democratica. Le correnti - osserva - come luogo di pensiero devono costituirsi, vivere, pensare e trovare tra loro un equilibrio di posizioni e di idee, ed essere il lievito per la crescita di un grande partito di massa. Le correnti, insomma, sono una ricchezza e non una povertà nel definire la propria identità. Credo sia un errore averne paura''.

''Io ho deciso di restare nel Pd non solo perché questa è la mia casa, ma anche per difendere e non disperdere la nostra storia - sottolinea Lotti - per dire con orgoglio che questi anni non possono ridursi al fallimento del 4 marzo, ma che il nostro 'turbo-riformismo' ha prodotto tante leggi che hanno reso l’Italia più moderna, efficiente e giusta grazie alle unioni civili, al 'Dopo di noi', alla riforma del processo civile, al Jobs Act, all’Industria 4.0; e potrei citarne molte altre. Le ho condivise tutte, e non potrei rinnegarne nemmeno una''.

''Ho condiviso anche la scelta, a suo modo rivoluzionaria - aggiunge - di aprire a un governo con i Cinque stelle per arginare sia la difficile situazione politica e sociale del nostro paese, sia la pericolosa deriva di destra, spegnendo sul nascere il megafono salviniano che annunciava i pieni poteri. Ma non mi sono mai posto la domanda sul 'che fare?'''.

Poi la scelta di Renzi. ''Nonostante la mia storia personale e nonostante tanti giornalisti e colleghi provino a dare letture surreali (arrivando a scomodare leggende letterarie come il cavallo di Troia o fantasticando su improbabili spie o infiltrati), mi chiedo che senso abbia avuto far nascere il nuovo governo e subito dopo uscire dal partito'' è la riflessione dell'ex ministro dello Sport. ''Sia chiaro - sottolinea - io considero una nuova offerta politica un bene per la democrazia e coloro che hanno preso questa decisione sono colleghi stimati cui mi lega e sempre mi legherà un rapporto di amicizia e stima. Tuttavia, sebbene si assicuri appoggio al governo Conte 2, vedo all’orizzonte un vecchio vizio della sinistra italiana affacciarsi pericolosamente, un frazionismo nel nostro campo politico che ne mina la credibilità''.

"E se l’uscita di Renzi è stato un regolamento di conti per rispondere all’improvvido fuoco amico che fece fallire la riforma costituzionale, allora è stata una risposta tardiva, ma non spetta a me fare queste valutazioni. Allora qual è la spiegazione? Qualcuno ritiene possa essere stato l’impulso, comprensibile e legittimo, a contare di più al tavolo della maggioranza: non so se questo sia vero, ma temo che in tal caso possa essere un orizzonte politico limitato" scrive Lotti.

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