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Lo studio

L'urlo di Munch si scolorisce, ecco perché

15 maggio 2020 | 20.29
LETTURA: 4 minuti

Delicata diagnosi ricercatori Cnr Molab e team internazionale

Crediti: MOLAB (CNR-SCITEC, Italia)
Crediti: MOLAB (CNR-SCITEC, Italia)

di Andreana d'Aquino

Se il capolavoro 'L'Urlo' si sta drammaticamente scolorendo, è l'umidità la vera nemica dell'opera iconica del pittore norvegese Edvard Munch. Dunque "non è la luce" a danneggiare il dipinto emblema del museo di Oslo. La delicata diagnosi arriva da un team internazionale di ricercatori guidati dal Cnr che, partendo dalla problematica dello scolorimento che affligge il quadro, ha scoperto che "è l'umidità e non la luce a provocare lo sbiadimento dell'opera". Per arrivare alla scoperta - pubblicata oggi sulla rivista 'Science Advances' - i ricercatori hanno messo il dipinto sotto la lente della scienza usando metodologie spettroscopiche non-invasive del Cnr Molab e micro-analisi applicate all'Esfr di Grenoble.

Per i ricercatori il risultato raggiunto può essere strategico perché suggerisce "le condizioni ambientali ottimali per esporre il dipinto, finora raramente fruibile a causa delle sue delicate condizioni". L'opera di Munch è stata infatti finora sottoposta a 'restrizioni' espositive, ma potrà tornare ad essere ammirata grazie alla scoperta di ciò che realmente danneggia i colori. Il risultato dello studio è stato raggiunto insieme ai ricercatori, partner del progetto, dell'Università italiana di Perugia, dell'Università belga di Anversa, del Bard Graduate Center di New York (Usa), del sincrotrone tedesco Desy di Amburgo e del Munch Museum di Oslo.

'L'Urlo', un capolavoro dipinto da Edvard Munch nel 1910 ed ineguagliabile emblema dell'angoscia dell'uomo, grazie allo studio scientifico potrà quindi tornare ad essere ammirato dal pubblico, grazie allo studio scientifico che ha rivelato nell'umidità la causa principale di deperimento. La ricerca, inoltre, a fornisce ai conservatori del dipinto le indicazioni per "esibire permanentemente" il dipinto in condizioni di sicurezza: l'esposizione a "livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 45% e il mantenimento dell'illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici stabili alla luce, come il giallo di cadmio utilizzato nella tavolozza".

Il Consiglio nazionale delle Ricerche ricorda che "dal 2006 il capolavoro è stato raramente esibito a causa del fragile stato di conservazione, dovuto non solo a cause ambientali, ma anche alla natura stessa dei pigmenti utilizzati e in conseguenza dei danni subiti dopo il furto avvenuto nel 2004 che lo ha sottratto al Museo per due anni".

Lungo e complesso il percorso che ha portato alla delicata 'diagnosi'. I ricercatori hanno prima portato al Munch Museum di Oslo le strumentazioni portatili, basate su metodi non-invasivi di spettroscopia, della piattaforma europea Molab, finanziata dalla Commissione Europea nel contesto del progetto Iperion-Ch, un laboratorio mobile coordinato dall'italiana Costanza Miliani, direttrice dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Cn. Successivamente, all'European synchrotron radiation facility di Grenoble, in Francia, sono stati effettuati esperimenti con sorgenti ai raggi X su micro-frammenti prelevati dall’opera.

Munch ha realizzato varie versioni di questa opera, tra cui i dipinti datati 1893 e 1910, sperimentando nuove combinazioni di colori. "L’artista -spiega Letizia Monico, ricercatrice dell'Istituto di scienze e tecnologie chimiche 'Giulio Natta' del Cnr- ha miscelato diversi leganti, come i tempera, olio e pastello con pigmenti sintetici, dalle tonalità vibranti e brillanti per creare colori di forte impatto. Sfortunatamente, l'ampio utilizzo di questi nuovi materiali rappresenta una sfida per la conservazione a lungo termine delle opere d'arte del pittore norvegese".

Ma come si presenta la superficie del dipinto sotto la lente scientifica? Letizia Monico riferisce che "la versione del 1910 mostra evidenti segni di degrado in diverse aree dipinte con gialli di cadmio, una famiglia di pigmenti costituiti da solfuro di cadmio". "L'originale colore giallo brillante di alcune nuvole del cielo e del collo del soggetto centrale, appare oggi sbiadito. Nella zona del lago, -spiega ancora la ricercatrice- le dense ed opache pennellate di giallo di cadmio mostrano invece tendenza a sfaldarsi". Le micro-analisi effettuate al sincrotrone hanno così permesso di individuare che "l’umidità è una delle cause principali di degrado dei pigmenti gialli di cadmio del dipinto".

Infatti, gli studiosi sottolineano che "diversamente da quanto si pensava, la luce ha un impatto irrilevante sul deperimento di questi pigmenti rivelatisi più stabili alla fonte luminosa" di quanto non siano i gialli di van Gogh nella serie dei Girasoli, ampiamente analizzati dallo stesso team Molab-Cnr. "Lo studio del dipinto -racconta Letizia Monico- è stato integrato con indagini sui provini pittorici di laboratorio invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una polvere storica ed un tubetto ad olio di giallo di cadmio appartenuto a Munch che hanno una composizione chimica simile al pigmento giallo del lago del dipinto".

Lo studio, aggiunge la ricercatrice, "mostra che il solfuro di cadmio originale si trasforma in solfato di cadmio in presenza di composti contenenti cloro ed in condizioni di elevata umidità relativa percentuale. E ciò accade anche in assenza di luce". Il Cnr sottolinea che la novità dello studio consiste anche "nella integrazione di differenti tecniche d’indagine con un approccio che potrà essere utilizzato con successo" per 'curare' altre opere d’arte che soffrono di problemi simili. "Esistono differenti formulazioni dei pigmenti gialli a base di solfuro di cadmio e non sono presenti solo nelle opere d'arte di Munch ma anche in quelle di altri famosi artisti a lui contemporanei come Henri Matisse, Vincent van Gogh e James Ensor" indica infine Costanza Miliani, direttrice del Cnr - Ispc.

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