Se le aziende del made in Italy voglio aggredire l'estero, "è necessario cambiare modello" e adottare quello del "flagship" ovvero associato alla "teoria della nave ammiraglia". Lo afferma Armando Branchini, vicepresidente di Altagamma, in occasione dell'incontro organizzato in Bocconi dal titolo 'Made in Italy e M&A: Difendere l'italianità o aggredire l'estero?'. La adottò la Siemens, ricorda Branchini, ma non la Fiat: "quando andò in Cina, Fiat non si portò dietro tutto il resto. Fa bene allora il dottor Romiti a scrivere nelle sue memorie 'ho sbagliato tutto': quando Fiat decise di chiudere in Cina, 19 top manager furono assunti da Volkswagen che si trovò a disposizione una curva di esperienza di dieci anni di persone che avevano conosciuto il mercato cinese".
Branchini porta l'esempio del comparto della gioielleria: "l'Italia fino al 1996 era il più grande esportatore al mondo di prodotti di gioielleria. Da allora è iniziata la curva del declino"; ora la sola possibilità di sopravvivenza per molte delle aziende di produzione (concentrate in prevalenza nel distretto di Valenza) è "fare accordi con le navi ammiraglie. Non Bulgari o Pomellato che fanno già fronte a sè, ma seguendo la strategia della brand extension: potrebbero scegliere Zegna, Versace, Ferragamo eccetera. Insomma serve stringere accordi con le navi ammiraglie capaci di trainare dietro di sè tutto il resto".