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Guadagnare con i 'like', dalla Sardegna la rivoluzione della startup Paymeabit

13 agosto 2016 | 15.28
LETTURA: 5 minuti

Giuseppe Laddomada, 32 anni
Giuseppe Laddomada, 32 anni

Monetizzare i contenuti che si trovano oggi gratuitamente sui social network a partire dai 'like' degli utenti. Come business è ancora embrionale, ma il bitcoin e una startup fondata a Cagliari, Paymeabit (letteralmente 'Pagami un po'') potrebbero contribuire a rivoluzionarlo, dando a singoli e aziende la possibilità di valorizzare video, foto o articoli con micropagamenti. L'idea di Giuseppe Laddomada e Sergio Masala, i due fondatori, è cominciare con la comunità Bitcoin per arrivare al grande pubblico, attraverso partnership con piattaforme web e aziende editoriali.

"Ogni giorno su Facebook vengono dati 4,5 mld di 'mi piace', visitate milioni di pagine senza valore e non era questo lo spirito con cui è stato creato Internet", spiega Laddomada, raccontando all'Adnkronos i primi due anni della piattaforma, per ora in versione beta, che punta a coinvolgere milioni di utenti. "Siamo partiti guardando al bitcoin perché - sottolinea - può mettere in discussione molti paradigmi: è un nuovo modo di trasferire facilmente valore su Internet e rendere più equa l'offerta di contenuti, con prezzi vicini al valore reale".

Su Paymeabit ogni volta che un utente lascia un 'mi piace' a un post trasferisce un bit, la frazione di Bitcoin che vale meno di un centesimo di euro, a chi ha creato il contenuto. Funziona come il 'like' di Facebook, con la differenza che si trasferisce una piccola quantità di valore. Insieme al 'premio', sulla piattaforma si può anche vendere beni digitali a un determinato prezzo. Il Bitcoin, che oggi vale circa 600 euro, è una moneta virtuale che si scambia senza intermediari bancari attraverso un database dove le transazioni sono costantemente validate. L'invenzione, che risale al 2008, ha vissuto alti e bassi, ma si sta oggi stabilizzando su una crescita graduale.

"Se la tecnologia è solida - dice Laddomada - dopo un primo crollo, poi si comincia a risalire pian piano, senza speculazioni eccessive. Per ora, i contenuti su Internet non hanno un valore perché non c'è il modo giusto di assegnarglielo. Prendiamo un blog post, per esempio: il suo valore é probabilmente di pochi centesimi. Al momento non é possibile venderlo per questa piccola cifra. La nostra piattaforma è un primo passo per determinarlo". Come in un'asta, sul sito esiste anche un feed: i contenuti 'top' sono quelli che ottengono più bit. "E' una novità, un esperimento: chi crea contenuti può capire cosa ha funzionato e cosa no".

Dopo il primo round di finanziamenti, che ha permesso al team di crescere ("adesso siamo in sei, abbiamo anche uno sviluppatore che lavora in remoto da Napoli"), il percorso dei due fondatori è ancora lungo ma si è avvalso di due contributi importanti: il primo è quello dell'incubatore cagliaritano The Net Value di Mario Mariani; il secondo è l'apporto di NexusLab, un acceleratore di startup blockchain (la tecnologia peer-to-peer alla base di Bitcoin) tra i più prestigiosi d'Europa che ha permesso a Paymeabit di farsi conoscere a Londra, Amsterdam, Berlino e Zurigo.

"Siamo ancora - precisa - nella fase iniziale e per creare un business profittevole le transazioni, visto che sono molto piccole, devono essere tantissime". Dopo il lancio della versione beta, in poche settimane diverse centinaia di utenti hanno postato su Paymeabit, creando una microeconomia da 60mila bit. "Abbiamo aperto la beta alla comunità bitcoin e i primi risultati sono molto incoraggianti: c'è chi ha venduto la tesi di laurea, chi una guida della Sardegna, chi ha creato tutorial su come usare Paymeabit".

Gli obiettivi della startup sono due: far crescere la piattaforma e creare partnership che integrino Paymeabit in altri sistemi. "Abbiamo già dei colloqui in corso, ma è presto per parlarne. La nostra idea è portare questo concetto fuori dal mondo social: ci sono contenuti generati da editori o da utenti che potrebbero essere venduti in questo modo. La novità è che trattandosi di cifre irrisorie, per l'utente finale è molto leggero trasfere valore: potrebbe guadagnare anche scrivendo un commento ad un articolo".

Laddomada, cagliaritano, pur avendo 32 anni non è un 'novizio' del mondo startup: dopo aver studiato economia a Copenaghen e a Stoccolma, si è trasferito Berlino, dove è stato assunto come product manager per diverse startup. "E' vero, sono un cervello di ritorno: dopo quasi dieci anni all'estero volevo provare a fare qualcosa in Sardegna". Nella capitale tedesca, "ho visto la scena startup quando era ancora in divenire. Il mio coinquilino era il primo dipendente di Zalando: ha spedito fisicamente il primo pacco di scarpe della compagnia".

Tornando alle sue origini, non ha trovato un deserto. Tutt'altro. "A Cagliari si lavora benissimo e c'è di tutto, è una piccola gemma di innovazione piena di startup. Basti pensare a Moneyfarm, Sardex, DoveConviene". Per il fondatore di Paymeabit, il bello della Sardegna è che, essendo un'isola, "porta naturalmente a guardare all'estero e all'esterno". L'isolamento ha condotto al naturale sviluppo dei servizi digitali, più facili da trasferire rispetto ai prodotti manifatturieri. Secondo i dati dell'Aifi, la Sardegna è la seconda regione dopo la Lombardia per investimenti in startup innovative: continuando così, non è escluso diventi la prima.

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