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Ricerca: 'fegato grasso' fattore rischio cuore, nuove prove da 2 studi

11 aprile 2014 | 12.52
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Ricerca: 'fegato grasso' fattore rischio cuore, nuove prove da 2 studi

Londra, 11 apr. - Il 'fegato grasso' finisce sul banco degli imputati. Gli scienziati hanno infatti raccolto nuove prove che sembrano inchiodare la steatosi epatica non alcolica come un fattore di rischio indipendente per il cuore. A puntare i riflettori sulla patologia sono due studi presentati a Londra, durante l'International Liver Congress 2014, il 49esimo Meeting annuale dell'Easl (European Association for the Study of the Liver). Studi che puntano a chiarire il ruolo del fegato grasso nello sviluppo di malattie cardiovascolari.

I risultati sono stati illustrati da Jean-Francois Dufour dell'università di Berna (Svizzera), Clinic for Visceral Surgery and Medicine. Il primo lavoro è uno studio a lungo termine su pazienti ad alto rischio cardiovascolare, attraverso il quale è stato osservato un contributo della malattia del fegato grasso alla progressione dell'aterosclerosi precoce. Il ruolo della patologia, che porta alla crescita di grasso nelle cellule epatiche in persone che non bevono eccessivamente, è risultato essere indipendente dai tradizionali fattori di rischio. Il secondo lavoro, uno studio longitudinale di 10 anni su 3.074 pazienti giapponesi, ha confermato invece la sua 'veste' di fattore di rischio a lungo termine per il diabete mellito, sviluppato da 117 persone nel gruppo dei pazienti con fegato grasso, contro 75 del gruppo non affetto dalla patologia. Con tanto di controprova: i pazienti che miglioravano la condizione del grasso nel fegato in risposta alla terapia, riducevano il rischio di ammalarsi di diabete.

La steatosi epatica, spiegano gli esperti, sta rapidamente diventando la più comune malattia del fegato un po' ovunque, in particolare nel mondo occidentale con una prevalenza stimata del 20-30%. In molti casi è collegata all'obesità e al sovrappeso. "Ora abbiamo corpose evidenze del fatto che il 'fegato grasso' può rappresentare un rischio cardiovascolare al di là di quelli tradizionali come la dislipidemia, il diabete e il fumo - spiega Dufour - Gli operatori sanitari che gestiscono questi pazienti dovrebbero tenerne conto nella stratificazione del rischio. Anche se il modo migliore per farlo è ancora da definire".

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