"E' una sentenza che era già scritta e per questo sono incazzato nero. Il procuratore Laviani mi ha detto al processo, sbattendo i pugni sul tavolo: 'Basta, ormai questa è una questione personale'. Parliamo di un accanimento, di una forzatura. Faremo sicuramente ricorso". L'ex nuotatore azzurro Filippo Magnini commenta così la sentenza del Tribunale nazionale antidoping che gli ha inflitto quattro anni di squalifica per uso o tentato uso di sostanze dopanti.
"Pensare che un procuratore, al quale è stato dato pieno potere, possa agire con queste parole senza alcuna ripercussione...se fossi il Coni mi arrabbierei parecchio", aggiunge Magnini riferendosi a Laviani, che nei suoi confronti aveva chiesto uno stop ancora più pesante di otto anni. "Nella giustizia ordinaria non ci potrebbe essere una questione personale, questa è una cosa molto grave", sottolinea l'ex nuotatore azzurro, punito nel processo sportivo nato dall'inchiesta della procura di Pesaro che ruota attorno alla figura del nutrizionista Guido Porcellini, dalla quale Magnini è uscito pulito.
"Ci sono state molte irregolarità, abbiamo cose molto gravi di cui abbiamo le prove ma le diremo nelle sedi giuste. Ma sono molto deluso da questa giustizia sportiva, che non chiamo nemmeno più così. Perché è successo? Ho pensato di tutto, che il mio movimento 'I'm doping free' possa aver dato fastidio a qualcuno o che io potessi essere una pedina per colpire qualcuno più importante. I trent'anni di inibizione a Porcellini (nell'ambito della giustizia sportiva, ndr) possono avere influito? Forse è tutto uno schema, anche se mi domando il motivo. Di certo qua non parliamo di un pregiudizio nei miei confronti, ma di una persecuzione".