Nessun eroe, ma una storia con tanti chiaroscuri. Trenta anni dopo, la narrazione di Mani Pulite non è più a senso unico, ma subisce una profonda revisione. "L'attenzione su questa data è un modo per guardare indietro con senso critico e in un'ottica diversa, negli ultimi anni sta cambiando il racconto rispetto a questo momento tragico della nostra storia. Basta celebrazioni, basta alla leggenda del bravo sceriffo, è giusto discutere e analizzare quegli anni senza pregiudizi e preconcetti", spiega all'Adnkronos Stefano Cagliari, figlio di Gabriele, l'ex presidente dell'Eni suicida a San Vittore dopo 134 giorni dietro le sbarre.
"Se il processo di revisione arrivasse dall'interno sarebbe meglio, ma la vedo difficile: sarebbe il caso di separare le carriere tra pm e giudici, di correggere quei 'buchi' nella nostra legislazione che sono stati la causa di eventi estremamente negativi per il Paese. Il governo sta cercando di metterci mano, ma finché le regole non cambieranno può succedere di nuovo. Non dimentichiamoci che c'è anche chi ha usato Mani Pulite per rese dei conti personali: l'importante era fare dei nomi per evitare il carcere", sottolinea l'autore del libro 'Storia di mio padre'.
"Vorrei che mio padre fosse ricordato per la sua politica industriale, per l'interesse nelle energie rinnovabili, nella compatibilità ambientale e nelle tecnologie allora innovative, come un manager di grandissimo valore che ha dovuto adeguarsi a un sistema che non condivideva. Senza volerne fare un eroe è stato un uomo che ha commesso degli errori e li ha ammessi, che ha usato il suo sacrificio per denunciare la situazione del carcere e di un'inchiesta che veniva gestita, secondo lui, in maniera illegittima", conclude Stefano Cagliari.