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Martelli: "Troppi schiaffi da M5S a Di Matteo, ma sua telefonata pessima e velenosa"

06 maggio 2020 | 16.49
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"Maldestro tentativo di Bonafede di convincerlo"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Chiunque nella posizione di Di Matteo si sarebbe risentito, a maggior ragione di fronte al maldestro tentativo di Bonafede di indorare la pillola cercando di convincere Di Matteo che l’opzione rimasta, cioè il posto di direttore degli Affari penali, era quello stesso che nel 1991 assunse Falcone". A dirlo all’AdnKronos, commentando la diatriba fra il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo, è l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, ospite di 'Non è l’Arena' la sera in cui è andato in scena lo scontro.

Per Martelli, dunque, che da ministro, agli inizi degli anni ’90, volle agli Affari penali Falcone, "la toppa" di Bonafede, quella di offrire a Di Matteo gli Affari penali invece del Dap, "è stata peggiore del buco", perché "da tempo il dipartimento degli Affari penali non è più quello del 1991; dapprima è stato svuotato di autonomia e di competenze, infine è diventato così insignificante da essere soppresso e accorpato alla Direzione affari generali. Dunque, o il ministro non lo sapeva e l’ignoranza sarebbe inescusabile, o sapendolo pensava che l’ignorante fosse Di Matteo. In entrambi i casi sbagliava: quelle 24 ore di indugio erano bastate a Di Matteo per informarsi sulla reale consistenza della proposta".

Però, spiega Martelli, "per quanti dubbi sulla competenza e sulla correttezza possa suscitare il comportamento di Bonafede, nulla giustifica la telefonata di Di Matteo in diretta tv al conduttore Massimo Giletti. Evocare come possibile motivo del diniego di Bonafede i timori per la sua nomina a direttore delle carceri intercettati in alcune telefonate di detenuti mafiosi è stata un’idea pessima e velenosa". Non "è la prima volta che Di Matteo, come altri magistrati, politici, giornalisti, getta sospetti infamanti su chi osa criticarlo, contestarlo o intralciarne le ambizioni – spiega ancora Martelli -, evidentemente costoro ignorano o hanno dimenticato una delle lezioni di Falcone, 'spesso il sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del Khomeinismo'. Capita che frequentando certa gente qualcosa ti resti appiccicato addosso, perciò gli rivolgo un modesto consiglio: la prossima estate anziché andare in vacanza col direttore del Fatto, rilegga gli scritti di Falcone".

Quanto, ancora, alle parole di Di Matteo, che ha prima rivelato la scelta di Bonafede di non nominarlo capo del Dap dopo averglielo proposto, per poi, subito dopo, parlare delle intercettazioni in carcere dei mafiosi che si lamentavano per la sua possibile nomina, Martelli afferma: "Io non la definisco insinuazione, ma studiando ho imparato che non è che perché una cosa succede dopo l’altra significa che l’una è causa dell’altra, ma Di Matteo l’ha messa in modo tale che così sembrasse".

Ma per Martelli, l’idea che Bonafede possa avere ceduto alla paura per la reazione dei mafiosi in caso di nomina di Di Matteo non è verosimile: "Io non credo che le cose siano andate così – afferma -, forse Bonafede ha solo cambiato idea, ma questo non lo posso sapere e tutte le congetture rischiano di apparire speculazioni, ma avere offerto a Di Matteo le due opzioni, vuoi questo o vuoi quest’altro, per poi, mentre Di Matteo chiede 24 ore di tempo per pensarci, rivolgersi a un terzo, nominandolo, è un po’ strano, no? E Bonafede questo punto non l’ha smentito, questa è la stranezza che Bonafede dovrebbe chiarire, se ne ha voglia, non è certo obbligato".

Martelli, poi, definisce quello di Bonafede un "comportamento poco corretto nei rapporti personali, che però non avevano ancora una veste istituzionale", ma "certamente l’irritazione di Di Matteo nasce da prima, perché la campagna elettorale del M5S fu fatta inneggiando a Di Matteo nuovo ministro della Giustizia. Dopodiché non è che è stato Bonafede a decidere di non nominare Di Matteo ministro perché ci voleva andare lui, sarà stato qualcun altro, presumo il gruppo dirigente, i vertici, forse Di Maio, forse Grillo, non ho idea, ma questo è sicuramente il primo schiaffo a Di Matteo, perché il M5S si fa bello portando in campagna elettorale come fiore all’occhiello la candidatura di Di Matteo, poi quando si tratta di mantenere questo impegno, con gli elettori, non con Di Matteo, cambi idea".

Dopodiché c’è stato il secondo schiaffo, nel 2018 con la mancata nomina al Dap, "e adesso il terzo", dice Martelli, "perché che cosa impediva che adesso mettessero Di Matteo al Dap? Ecco perché il magistrato insorge adesso, due anni dopo, perché si aspettava che questa fosse la volta buona, non c’era più nessun ostacolo". Però, aggiunge Martelli, "intendiamoci, io non sono affatto convinto che Di Matteo fosse il candidato ideale per il Dap, noi stiamo ragionando dentro la logica altrui, e si rischia di sbagliare, ma secondo me Di Matteo non è la persona adatta per quell’incarico, perché è uno specialista di questioni di mafia, ma non è che i 60mila detenuti possono essere trattati tutti come fossero dei mafiosi. Lì ci vuole qualcuno che abbia anche l’equilibrio e l’umanità per occuparsi innanzitutto della sicurezza delle carceri e delle condizioni dei detenuti. Di Matteo è la persona indicata per questo? Forse no". 

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