Quella che aspetta la Federal Reserve - ovvero scegliere se ritoccare al rialzo i tassi Usa, fermi da dicembre 2008 fra lo 0 e lo 0,25% - "è oggettivamente una decisione difficile, ma personalmente non credo sia così importante". Così, con un apparente contraddizione, Paolo Mauro, per 20 anni economista al Fondo monetario Internazionale e Senior Fellow al Peterson Institute for International Economics di Washington, commenta all'Adnkronos la riunione del comitato di politica monetaria della Fed, ipotizzando che ci sia stato "'molto rumore per nulla' o forse troppa attenzione al tema rispetto ad altri sviluppi economici".
Da una parte, ricorda l'economista "la disoccupazione è ormai bassa, al livello del cosiddetto NAIRU (non-accelerating inflation rate of unemployment). Tuttavia, allo stesso tempo, le aspettative di inflazione anche fra due anni sono al di sotto del 2%".
Mauro ricorda come il dibattito in corso veda contrapporsi vedute (autorevoli) nettamente contrastanti: "L'ex segretario al Tesoro Larry Summers dice che un rialzo adesso sarebbe un errore perchè l’economia sta crescendo solo grazie alla politica monetaria super-espansiva mentre Raghuram Rajan, governatore della Banca Centrale dell’India e ex-capo studi dell'FMI, invita a 'farlo e basta' , sostenendo che i continui segnali della Fed 'alzo, non alzo' creino ormai troppa incertezza. E se il Fondo Monetario e Banca Mondiale dicono di aspettare la BIS pone l’enfasi sui rischi per il settore finanziario" legati a un mancato aumento.
Il risultato, secondo l'economista, è che "qualunque sia la decisione di domani, a questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti che il ciclo di aumento dei tassi d’interesse della Fed sarà estremamente lento e graduale". "In questo contesto - osserva - un aumento dei tassi di 25 punti base, che sia domani o fra qualche mese secondo me dovrebbe fare poca differenza".
Come spesso, in questi casi, è anche una questione di comunicazione: "Se la Fed - spiega Mauro - è in grado di spiegare che non c’è nessun cambiamento di linea e che un piccolo aumento probabilmente seguito da una lunga pausa è solo una graduale normalizzazione, gli effetti sulla domanda statunitense non dovrebbero essere negativi".
E' possibile che nel caso di un rialzo dei tassi ci sia "un piccolo tonfo in Borsa, ma - aggiunge Mauro - bisogna ricordare che i valori azionari negli Stati Uniti sono gia’ molto alti".
Quanto alle possibili ricadute a livello globale di un aumento dei tassi a breve negli Stati Uniti, Mauro spiega che "in teoria, ci si attenderebbe un piccolo ulteriore apprezzamento del dollaro. Credo comunque che gli effetti sul mercato delle obbligazioni a lungo termine negli Stati Uniti siano minimi, e lo stesso vale per l’Europa".
Invecee "i paesi emergenti - aggiunge l'economista - sono più preoccupati, perché temono un riflusso dei capitali verso gli Stati Uniti, che a sua volta comporterebbe un aumento dei loro tassi di finanziamento. Ma anche in questo caso, sulla base dei 'fondamentali' non credo l’impatto sia forte, sicuramente meno preoccupante degli aumenti nei decenni precedenti che erano stati più drastici".
Quanto alle eventuali 'ricadute' sulle politiche della Bce, che da marzo ha avviato un importante programma di acquisti, per Mauro "parte del motivo per cui l’Europa si e’ ripresa poco e con forte ritardo rispetto agli Stati Uniti è proprio il ritardo nell’adottare il quantitative easing" Per questo, conclude, "direi che la Bce fa bene a essere paziente e continuare, se non addirittura aumentare o estendere, il suo QE".