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Mercuri (Deloitte): "Export, innovazione, infrastrutture priorità per Italia"

19 giugno 2020 | 14.44
LETTURA: 4 minuti

Intervista alla società leader di management consulting a livello mondiale

Alessandro Mercuri, amministratore delegato Deloitte consulting
Alessandro Mercuri, amministratore delegato Deloitte consulting

"Dopo la fine dell’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19, in Italia è tempo di affrontare le conseguenze socio-economiche della pandemia. Per evitare una prolungata recessione, bisognerà fare uno sforzo eccezionale ed individuare misure urgenti capaci di far ripartire il motore dell’economia. Grazie agli aiuti promessi dall’Ue, infatti, questa crisi può trasformarsi in un’occasione di rilancio e transizione verso nuovi modelli di crescita".

Quali sono le priorità per centrare questo obiettivo lo spiega all'Adnkronos/Labitalia Alessandro Mercuri, amministratore delegato di Deloitte consulting. Leader tra le società di management consulting a livello mondiale, Deloitte affianca le aziende di tutto il mondo per la soluzione dei problemi più complessi, da quelli strategici a quelli operativi. Solo in Italia vanta circa 11 mila clienti.

"Investimenti pubblici - dice - che guardino al lungo periodo. Sostegno alle imprese con vocazione all’export per reggere la competizione sui mercati internazionali. Liquidità immediata per le pmi che formano la spina dorsale del nostro tessuto economico. Sburocratizzazione delle Pa per favorire innovazione e sbloccare cantieri. digitalizzazione. Sono solo alcune delle priorità che il governo italiano dovrebbe darsi per rilanciare l’economia e affrontare alcune delle criticità croniche del nostro Paese. Se ne parla da anni: ora c’è l’occasione perfetta per implementarle".

"Tendiamo a scordarcelo - fa notare Alessandro Mercuri - ma l’Italia è la seconda manifattura d’Europa. È vero: il nostro debito pubblico è già al limite e non abbiamo alti livelli di produttività. Nella grande competizione globale siamo sfavoriti perché abbiamo molte aziende piccole o medio-piccole. Ma quelle che abbiamo sono delle fuori classe. Il made in Italy è ricercato in tutto il mondo: la qualità dei nostri prodotti e del nostro capitale umano è praticamente insostituibile e ci offre un margine di resilienza che pochissimi altri hanno".

"Siamo anche - sottolinea - molto versatili: esportiamo un po’ di tutto. Un esempio: la Germania esporta più di noi, ma lo fa soprattutto nel mercato dell’auto. E in una fase in cui i concessionari sono chiusi è più in difficoltà di chi, come noi, è capace di fare tante cose diverse. Questo però non basta: il 32% del nostro pil dipende dalle esportazioni e se le aziende che hanno sbocco sui mercati esteri rimangono indietro ora, potremmo perdere il treno della competitività internazionale".

Alessandro Mercuri ricorda poi che "il tema della spesa pubblica è, da sempre, molto delicato. Dobbiamo trovare il giusto equilibrio tra risorse da destinare a chi è in difficoltà e investimenti per la stimolare la crescita. I soldi che verranno usati sono a debito: dobbiamo investirli in infrastrutture utili al Paese, come le linee ferroviarie o la rete nazionale unica in fibra ottica. Se invece di limitarci a fare trasferimenti realizziamo investimenti produttivi, lasceremo qualcosa di buono per le future generazioni. Che altrimenti si ritroveranno sulle spalle un debito insostenibile e un Paese arretrato. Inoltre, se si tenterà di rilanciare la domanda interna solo mettendo soldi nelle tasche degli italiani, non è detto che i cittadini decidano di spendere. Anzi, in un momento come questo tenderanno a risparmiare. E l’effetto sull’economia reale potrebbe essere molto modesto".

Una delle parole più ricorrenti in questi giorni è digitalizzazione, "un esempio che tutti capiranno: durante il lockdown, secondo l’Istat, oltre 3,7 milioni di italiani sono passati al telelavoro e tutti i bambini e ragazzi delle scuole dell’obbligo hanno fatto didattica a distanza. Ma secondo lo stesso istituto di statistica, solo il 74,7% degli italiani disponeva di una connessione a banda larga. Tradotto: un italiano su quattro non aveva una connessione decente per lavorare o studiare".

Per l'amministratore delegato di Deloitte consulting, "eliminare il digital divide oggi è diventato un tema di cittadinanza: i cittadini che sono tagliati fuori dall’accesso al mondo digitale, sono cittadini che non possono fare acquisti, non possono accedere a informazioni, non possono svolgere pratiche burocratiche, non possono comunicare se sono a distanza dai propri congiunti. Anche nel mondo business la presenza digitale è ormai imprescindibile: è un trend globale a cui non possiamo non allinearci se vogliamo essere un Paese moderno ed efficiente".

"Lo abbiamo sperimentato - osserva - durante il lockdown: non tutti i lavori e le attività possono essere svolti efficacemente con il telelavoro. Ma bisognerà ripensare a tutte quelle attività che possono essere eseguite anche senza essere fisicamente vicini. In generale, tutte le organizzazioni complesse dovranno fare uno sforzo per capire cosa ha funzionato e cosa no. Cosa potrà funzionare e cosa no. Non torneremo al mondo di prima: ci aspetta un 'new normal'".

Alessandro Mercuri ricorda, inoltre, che "è da decenni che il nostro Paese ha un problema grave con la burocrazia: anche in occasione di questa emergenza è emerso come l’eccesso di norme, procedure e cavilli abbia rallentato l’efficacia delle misure dell’esecutivo. Le aziende italiane sono abituate a convivere con una situazione legislativa complessa e, spesso, incerta".

"Tutte quelle - puntualizza - che noi assistiamo stanno applicando in modo rigoroso le norme, ma una volta in più è emersa l’evidenza che abbiamo bisogno di semplificare e razionalizzare la macchina burocratica".

"Questo - avverte - andrebbe a beneficio non solo delle aziende che operano sul mercato interno, ma anche di quelle con vocazione per l’export: nella concorrenza internazionale, infatti, le aziende estere, sono avvantaggiate da regimi fiscali e burocratici molto più snelli dei nostri. In uno scenario in cui la competizione sarà sempre più aggressiva, rendere difficile la vita alle proprie imprese non è, di certo, una scelta vincente".

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