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Chicago

Mieloma, triplice terapia raddoppia sopravvivenza

03 giugno 2018 | 17.09
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(Fotogramma)
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Nella battaglia contro il mieloma multiplo, tumore del midollo osseo difficile da controllare caratterizzato da multiple ricadute, scende in campo una ‘triplice alleanza’. Anzi due. Aggiungere daratumumab, il primo di una nuova classe di anticorpi monoclonali, alle due diverse combinazioni di terapia attualmente in uso, ha ottenuto risultati positivi in termini di sopravvivenza libera da malattia in tutte le categorie di pazienti, elevata probabilità di risposta e tollerabilità del farmaco.

Le ‘triplette’ sono protagoniste di due studi pubblicati sul ‘New England Journal of Medicine’ che hanno portato all’approvazione italiana del nuovo trattamento, con il riconoscimento di terapia innovativa da parte dell’Agenzia del farmaco Aifa. I due lavori sono stati presentati al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) in corso a Chicago.

Daratumumab agisce come un killer di precisione che assedia il nemico con due diverse strategie: è in grado, infatti, sia di mobilitare contro il cancro il sistema immunitario, che di attaccare direttamente le cellule tumorali facendole suicidare.

“I risultati ottenuti sono stati davvero notevoli – spiega Michele Cavo, direttore dell’Istituto di Ematologia Seragnoli dell’università di Bologna – e a 12 mesi dall’inizio della terapia hanno evidenziato un sostanziale raddoppiamento della probabilità di sopravvivenza libera da progressione di malattia con le triplette rispetto alle combinazioni standard. Sulla base di questi risultati, le agenzie regolatorie internazionali e nazionali hanno approvato l’uso delle due triplette con daratumumab a partire già dalla seconda linea di terapia per pazienti che abbiano ricevuto almeno un precedentemente trattamento”.

La combinazione, all’interno della stessa terapia, di farmaci dotati di diversi meccanismi d’azione consente di aumentare significativamente la probabilità della risposta al trattamento e la profondità della risposta. L’obiettivo attuale delle terapie del mieloma multiplo, anche in fase di ricaduta, è infatti la negativizzazione della malattia minima residua, cioè l’assenza di cellule tumorali dimostrabili con tecniche di biologia molecolare che possono individuarne anche una soltanto fra centomila o un milione di cellule normali.

Le “triplette” contenenti daratumumab hanno per la prima volta consentito di raggiungere questo risultato in percentuali variabili, e sino al 25%, dei pazienti con mieloma ricaduto o refrattario alle precedenti terapie”.

Secondo quanto emerso dallo studio Castor, la triplice terapia contenente daratumumab a 12 mesi ha aumentato dal 27 al 62% la sopravvivenza libera da progressione di malattia, con una riduzione del 64% del rischio di progressione del mieloma o di morte. Nello studio Pollux, invece, l’altra triplice combinazione con daratumumab ha aumentato la sopravvivenza libera da progressione di malattia dal 60 all’83%, con una riduzione del rischio di progressione del mieloma o di morte del 63%.

Nei due studi questi risultati sono stati riscontrati in modo costante in tutte le categorie di pazienti, indipendentemente dalle loro caratteristiche e dalle terapie ricevute in prima linea o in quelle successive.

“Esistono tutta una serie di meccanismi per i quali molti tumori, tra cui il mieloma, sono in grado di eludere la sorveglianza del sistema immunitario - approfondisce Cavo - Riattivarla vuol dire ripristinare quella difesa che il tumore intelligentemente ha messo a tacere”. Daratumumab ha come bersaglio la glicoproteina CD38, espressa sulle cellule tumorali. Il duplice effetto sul tumore e sul sistema immunitario ha portato a sperimentare questo anticorpo monoclonale, utilizzato finora da solo e soltanto dalla terza linea di terapia in poi, in associazione con due combinazioni standard di farmaci già in uso.

Si tratta quindi di usare tre farmaci insieme, di cui uno è sempre daratumumab. Abbinarlo alle associazioni di terapia standard non aggiunge tossicità significativa, spiega Cavo. Il fatto che daratumumab sia “dotato di un meccanismo di azione che determina la morte delle cellule tumorali sia direttamente che indirettamente, modulando il sistema immunitario e indirizzandolo ad aggredire il tumore” fa anche sì che il paziente abbia “probabilità maggiori di rispondere alla terapia, e più rapidamente. E di mantenere la risposta per un periodo di tempo più lungo”.

Il mieloma multiplo è “caratterizzato da un’incontrollata proliferazione di plasmacellule e da un’eccessiva produzione di immunoglobuline presenti nel sangue e/o nelle urine”, chiarisce Cavo. Ogni anno i nuovi casi sono circa 5.500 e l’età media dei pazienti è pari a circa 70 anni, con un terzo delle diagnosi dopo i 75. Circa un malato su tre riceve la diagnosi per caso, dopo un normale check-up di laboratorio. Nel 70-80% dei casi - aggiunge lo specialista - già all’esordio della malattia è documentabile una patologia scheletrica, conseguenza del tumore, mentre il 15-20% ha un’insufficienza renale causata dalla malattia.

“Deve quindi essere iniziata immediatamente la terapia, che può comprendere o meno il trapianto di cellule staminali. Durante la storia naturale del mieloma è tuttavia frequente che uno o più cloni di cellule non responsive alla terapia utilizzata diventino predominanti, provocando la ricaduta, o progressione, della malattia e costringendo l’ematologo a iniziare una terapia diversa dalla precedente. Disporre ad ogni successiva ricaduta di farmaci efficaci e dotati di un meccanismo d’azione diverso da quello dei precedenti è fondamentale per potere offrire ai pazienti terapie di seconda o terza linea che siano in grado di controllare la malattia a medio e lungo termine”.

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