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Milano: diritto informazione e forze ordine al centro convegno con Questore

25 gennaio 2016 | 15.25
LETTURA: 5 minuti

Tullio Mastrangelo, Canio Giuseppe La Gala, Paolo Kalenda, Luigi Savina
Tullio Mastrangelo, Canio Giuseppe La Gala, Paolo Kalenda, Luigi Savina

Il diritto di informare da parte dei giornalisti e quello alla riservatezza da parte delle forze dell'ordine e delle istituzioni, sono stati al centro di un convegno "La comunicazione nei fatti di cronaca: linee guida delle istituzioni, diritto e dovere di informare", a Palazzo Pirelli a Milano, cui hanno partecipato, tra gli altri, il Questore di Milano, Luigi Savina, il comandante provinciale dei carabinieri, Canio Giuseppe La Gala, quello della Gdf, Paolo Kalenda, e il comandante della polizia locale Tullio Mastrangelo.

Nel corso del dibattito è emersa, sempre più forte, la necessità di incrementare i rapporti tra organi di informazione e forze dell'ordine, consolidando quel rapporto di fiducia reciproca, pur sempre nel rispetto dei ruoli, per garantire una corretta informazione senza però interferire nelle indagini e nella privacy di tutti i soggetti interessati.

"Noi siamo dell'idea -ha sottolineato il Questore Savina- che il diritto di informare debba passare dalla stampa in generale. Come dovere, noi abbiamo quello di informare i cittadini che, a loro volta, hanno il diritto di essere informati. Ci sono però reati -ha spiegato- che vengono presi in carico dalla magistratura, che diventa titolare del procedimento, e dei quali non si possono più fornire ulteriori informazioni".

Per il colonnello La Gala, responsabile provinciale dei carabinieri, "fare senza dire di aver fatto, molte volte equivale a non aver fatto nulla. Per questo -ha sottolineato- va esercitata tutta quella professionalità mediatica da parte delle forze dell'ordine e dei giornalisti al servizio dei cittadini. L'esercizio del diritto di cronaca -ha ricordato- si basa su tre principi: l'utilità sociale dell'informazione, la ricerca della verità, l'esposizione dei fatti senza eccedere". "Dare una notizia -ha aggiunto il comandante provinciale dei carabinieri- significa fornire alla collettività un segnale tangibile del lavoro delle forze dell'ordine sul territorio a difesa della collettività. Inoltre, far sapere quello che si fa -ha spiegato- aumenta la fiducia da parte dei cittadini nei nostri confronti, incentiva il personale che viene per questo gratificato e costituisce un deterrente per la criminalità". Tutto questo, però, per La Gala comporta tre limiti: "è infatti necessario tutelare il segreto investigativo, salvaguardare la privacy delle persone coinvolte e ottemperare alle direttive dell'autorità giudiziaria. Ecco quindi che occorre trovare un punto di equilibrio, frutto dell'esperienza, dei rapporti che si sono nel frattempo instaurati tra forze dell'ordine e giornalisti, della fiducia e del reciproco rispetto. Un equilibrio -ha concluso- anche tra ciò che è accaduto, ciò che potrebbe essere accaduto e ciò che potrebbe accadere".

Secondo Paolo Kalanda, comandante provinciale delle Fiamme Gialle, una grossa mano "può essere data dal cosiddetto giornalismo d'inchiesta. Tante indagini sono nate proprio grazie a questo tipo di giornalismo con il quale la Guarda di Finanza si è sempre detta disponibile a collaborare. Spesso -ha sottolineato- ci chiediamo cosa resti al cittadino delle nostre azioni. Quello che dovrebbe restare -ha concluso- sono i messaggi chiari al rispetto della legalità".Anche per il comandante della polizia locale, Tullio Mastrangelo, resta fondamentale il rapporto con gli organi di informazione anche se, ha tenuto a sottolineare "a volte siamo costretti a mentire, ma se lo facciamo è sempre per salvaguardare il corso delle indagini. A volte infatti, si rischia che per evocare il diritto d'informazione si rischia il favoreggiamento quindi il diritto di disinformazione deve essere compreso".Al termine del convegno è stato l'avvocato Carlo Melzi d'Eril a lanciare una provocazione, ricordando che "l'informazione deve controllare il potere" e avanzando una proposta: "equiparare i giornalisti alle parti di un processo in modo che possano avere diritto ad acquisire gli atti processuali. Atti processuali -ha ricordato- che di fatto, sebbene depositati, non possono essere a disposizione della stampa".

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