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Moro, l'ex Br Persichetti: "Parti Memoriale non diffuse per non allarmare obiettivi"

06 maggio 2019 | 15.59
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A pochi giorni dal 41esimo anniversario dell'uccisione dello statista Dc rivela: "Avevano deciso di utilizzarle in eventuali rivendicazioni di attentati contro personalità, citate dallo statista nella sua difesa scritta". Su Gladio: "Risposte su piano Nato servivano ad azione militare". L'intervista postuma

(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Le Br avevano deciso di utilizzare parti del Memoriale come materiale da inserire in eventuali rivendicazioni di attentati contro personalità, citate da Moro proprio nella sua difesa scritta. Circostanza che spiega, ulteriormente, perché il suo contenuto non poteva essere anticipato senza mettere in allarme i futuri obiettivi e, dunque, pregiudicare gli sviluppi successivi dell'azione brigatista". Lo scrive l'ex Br Paolo Persichetti in un intervento, che sarà ospitato nel numero della rivista 'Écritures', dedicata agli 'Anni Settanta in Italia', in uscita a dicembre 2019 (l'integrale sarà pubblicato sul blog Insorgenze.net).

A pochi giorni dal 41esimo anniversario dell'uccisione dello statista Dc, dunque, si torna a parlare del Memoriale. Spiega Persichetti, che del caso Moro si è occupato da ricercatore indipendente, pubblicando con i due storici Marco Clementi ed Elisa Santalena 'Brigate rosse - Dalle fabbriche alla campagna di primavera' (DeriveApprodi): "Da quanto appreso durante una conversazione tenuta con Lauro Azzolini: la divulgazione della memoria difensiva di Moro faceva parte del progetto di sviluppo dell'azione Moro con il proseguimento della 'Campagna di primavera' che consisteva nello sviluppare il contenuto del Memoriale per preparare nuove azioni".

Progetto offensivo che "fu stroncato dal durissimo colpo inferto alla colonna milanese" e da quanto accaduto a Roma con la scoperta della tipografia di via Pio Foà 31 e dell'appartamento di via Palombini 19, "due basi importanti della struttura logistica della colonna romana, adibite per il lavoro di comunicazione e propaganda. Questa prima perdita, pochi giorni dopo la riconsegna del corpo di Moro in via Caetani, aveva obbligato le Br a rivedere tempi e modi della pubblicazione dell'interrogatorio".

GLADIO - ''Le conferme cercate sulla possibile presenza di eventuali piani antiguerriglia della Nato non rientravano nella sfera della propaganda ma in quella dell'utilizzo politico-militare da parte dell'organizzazione'' e per questo non vennero rese pubbliche dalle Br né rientrarono nel materiale dattiloscritto ritrovato nel 1978 nel covo di via Monte Nevoso. Persichetti spiega perché nella prima trascrizione dell'interrogatorio di Aldo Moro, rinvenute nel 1978 non fossero presenti le risposte che lo statista Dc aveva fornito sulla eventuale presenza di un coordinamento antiguerriglia nella Nato in Italia, risposte che poi vennero invece ritrovate nelle fotocopie dei manoscritti 'riapparsi' nell'intercapedine dell'appartamento di via Monte Nevoso il 9 ottobre 1990. ''In linea con la cultura politica e operativa di una organizzazione rivoluzionaria come le Br'', scrive Persichetti,''queste informazioni servivano a rafforzare le conoscenze interne del gruppo, per strutturarne meglio l'organizzazione ed individuare efficaci obiettivi da colpire. Pertanto l'interesse mostrato sull'argomento, come le eventuali informazioni ottenute, dovevano rimanere riservate per non allarmare l'avversario, fornirgli elementi di vantaggio permettendogli di predisporre le necessarie contromisure''.

L'INTERVISTA POSTUMA - E' un mito che non affonda nella realtà quello di un Aldo Moro, impegnato a creare le condizioni politiche dell'alternanza, in vista di una 'terza fase' che avrebbe permesso al Pci di salire al governo senza scosse di sistema. Ne è convinto l'ex Br Paolo Persichetti, che ricostruisce passo per passo quella che chiama la ''narrazione postuma'' dello statista Dc, ''largamente accettata e condivisa nei decenni successivi''. ''Di fronte alle continue indiscrezioni sui contenuti delle 'confessioni' di Moro, il governo fu spinto a divulgare la parte del dattiloscritto che riguardava la memoria difensiva" scrive l'ex terrorista. "Quando fu chiaro che ciò sarebbe avvenuto, Scalfari bruciò sul tempo tutti presentando, il 14 ottobre, tre giorni prima che venisse reso pubblico il Memoriale, la sua intervista postuma. Il testo avrebbe fondato la narrazione futura di un altro Aldo Moro, trasfigurandone non solo il testamento scritto durante la prigionia, ma anche la condotta politica tenuta durante le trattative per il varo del nuovo governo Andreotti, quando con grande abilità aveva tenuto testa a tutti: a chi nella Dc non voleva il Pci nell'area di governo, ai dubbi degli americani, alle richieste iniziali del Pci, rimasto ancora una volta fuori dal governo, chiudendo la crisi con l'ennesimo monocolore democristiano''. Rendendo pubblica questa conversazione, il 14 ottobre 1978, Scalfari ''consegnava al Paese quello che avrebbe dovuto essere il testamento politico di un Moro libero nei suoi intendimenti'', un ''pensiero autentico opposto alle parole recluse apparse nelle lettere rese note durante il sequestro oppure presenti nel dattiloscritto appena ritrovato in via Monte Nevoso, tanto che sorge spontanea una domanda - scrive Persichetti -: per quale motivo un messaggio carico di un tale significato politico e morale non era stato rivelato nei mesi precedenti, all'indomani della sua morte, nelle settimane che seguirono il cordoglio e il lutto?''. L'ex Br ricorda peraltro come, ''durante la sua prima esistenza'', Moro fosse ''molto criticato anche a sinistra e preso di mira da quegli ambienti intellettuali più impegnati che vedevano nella sua figura politica l'essenza democristiana dell'occupazione del potere. Un'immagine diametralmente opposta a quella diffusa dopo la sua morte''. Per esempio, ''con una serie di articoli apparsi tra l'agosto e il settembre 1975, Pier Paolo Pasolini aveva chiesto un processo alla Democrazia cristiana, 'un processo penale, dentro un tribunale', dal quale i processati uscissero 'ammanettati fra i carabinieri''', rivendicando la necessità ''di portare a giudizio 'i gerarchi della Dc'''. E' a lui che quasi due anni dopo, il 10 marzo del 1977, Aldo Moro, divenuto nel frattempo presidente del consiglio, ''in un clamoroso discorso tenuto davanti alle Camere riunite a difesa di Luigi Gui, un suo collega di partito accusato di corruzione nella vicenda delle tangenti versate per l'acquisto di aerei militari della Lockheed'', risponde ''la Dc fa quadrato attorno ai suoi uomini Non ci processerete sulle piazze, non ci lasceremo processare''. ''Con il voto compatto del suo partito e il sostegno dei neofascisti del Msi, Gui venne salvato, ma inevitabilmente quel giorno Moro divenne l'emblema del 'regime''', conclude Persichetti.

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