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Fecondazione: ministero su morte donna a Bari, sottovalutati rischi

17 giugno 2015 | 19.50
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Fecondazione: ministero su morte donna a Bari, sottovalutati rischi

Non risulta sia stata eseguita, se non parzialmente, "una appropriata valutazione dei fattori di rischio, sia per le procedure e tecniche di fecondazione, quanto anche in relazione agli effetti che tali fattori di rischio avrebbero comportato su una futura e possibile gravidanza". Lo scrive la task force del ministero della Salute nella sua relazione sul decesso di una donna di 38 anni presso il Centro Pma del presidio Jaia di Conversano (Bari), il 10 giugno scorso.

La paziente, morta nel corso della procedura di agoaspirazione ovarica, presentava "obesità, ipertensione, diabete e cardiopatia", "importanti fattori di rischio" la cui presenza è stata sottovalutata, afferma la Commissione dopo la sua attività ispettiva nella struttura. Un'ispezione voluta dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in cui sono stati ascoltati gli operatori coinvolti e si è presa visione della documentazione clinica della paziente. Il centro di Pma è autorizzato come centro di II livello dalla Regione Puglia, ma non risultano effettuate le attività di ispezione del Centro nazionale trapianti, per una "mancata comunicazione da parte della Regione del passaggio di livello da I a II".

La paziente, con una diagnosi di infertilità primaria di coppia, aveva eseguito le indagini previste nelle fasi propedeutiche alle procedure di fecondazione assistita, da cui "è stato possibile rilevare la presenza di ipertensione arteriosa, diabete mellito, obesità, steatosi epatica, blocco di branca sinistra". Successivi controlli hanno rilevato anche una lieve insufficienza mitralica. Nel giorno del prelievo degli ovociti, dopo l'anestesia e la sedazione, durante le prime fasi di agoaspirazione dei follicoli la donna ha manifestato "rush cutaneo e difficoltà respiratoria", per cui l'anestesista, "ritenendo tali sintomi conseguenti ad allergia, dopo un tentativo di intubazione andato a vuoto, somministra adrenalina e cortisone, e ventila" la paziente.

Entro pochi minuti i sintomi regrediscono, e viene deciso dal ginecologo e dall'anestesista di continuare la procedura, portata poi a termine. Ma la paziente durante il trasferimento al letto mobile di degenza dice di non respirare bene, viene portata in sala risveglio e viene chiamato il cardiologo. Dopo un peggioramento dei parametri vitali, la donna viene intubata e si somministrano farmaci salvavita, ma nonostante ciò, "e le successive manovre di defibrillazione", la paziente muore.

La task force rileva dunque "alcuni elementi di criticità". In particolare la necessità "di mettere in atto una reale integrazione delle figure professionali coinvolte" nelle procedure che precedono accompagnano e seguono le diverse metodiche. In particolare, "non risulta che sia stata effettuata, se non parzialmente, una appropriata valutazione dei fattori di rischio, sia per le procedure tecniche di fecondazione, quanto anche in relazione agli effetti che tali fattori di rischio avrebbero comportato su una futura e possibile gravidanza". Inoltre, secondo gli esperti, per una gestione ottimale del caso "sarebbe stato necessario sviluppare una modalità di lavoro di equipe", che "avrebbe dovuto esplicitarsi in particolare nel corso della stessa procedura e nel momento in cui la signora ha avuto i primi sintomi di difficoltà respiratoria".

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