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Nanotecnologie per aumentare efficacia farmaci contro tumori

07 agosto 2018 | 17.39
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La dottoressa Antonella Arcella
La dottoressa Antonella Arcella

Dall'Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) si apre una nuova strada al trattamento del glioblastoma multiforme, una delle forme più aggressive di tumore cerebrale. Grazie alle nanotecnologie, i ricercatori hanno infatti trovato un modo per aumentare l'efficacia dei farmaci antitumorali, che nella cura di questa tipologia di cancro raggiungono con difficoltà il loro bersaglio. La ricerca, condotta dal Laboratorio di neuropatologia molecolare dell’Irccs in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù e la Harvard Medical School, è stata pubblicata sulla rivista Acs Chemical Neuroscience.

Lo studio ha impiegato il farmaco standard per la terapia del glioblastoma: il temozolomide. L’azione di questa molecola - precisano i ricercatori - viene purtroppo limitata dalla cosiddetta barriera ematoencefalica, che separa le cellule cerebrali dal flusso sanguigno impedendo il passaggio di molte sostanze contenute nel sangue: una strategia che l’organismo impiega normalmente per proteggere i neuroni, ma a causa della quale solo una piccola quantità di farmaco riesce a raggiungere effettivamente le cellule tumorali.

Il fisico coinvolto nello studio - Giulio Caracciolo dell'Università La Sapienza di Roma - al fine di aumentare l’efficacia di penetrazione del farmaco, ha incapsulato le molecole di temozolomide in un rivestimento costituito da particolari lipidi, realizzato con procedure nanotecnologiche.

"La prima fase di esperimenti è stata condotta in laboratorio - spiega Antonella Arcella, prima firmataria del lavoro - dove abbiamo usato cellule endoteliali del cordone ombelicale. Queste cellule si comportano in modo molto simile a quelle della barriera ematoencefalica, quindi sono un ottimo modello di studio. In questo modo abbiamo potuto vedere come il rivestimento lipidico permetta al farmaco di diffondersi oltre la barriera, con un’efficacia maggiore del farmaco non coniugato. Questa fase è solo l’inizio di una sperimentazione che sarà traslata su cellule di glioblastoma umano".

Con questo trattamento non solo il farmaco attraverserebbe più facilmente la barriera ematoencefalica, ma ne verrebbe potenziata la sua capacità antitumorale. "Una volta esposto al plasma del paziente - aggiunge la ricercatrice - attorno al rivestimento lipidico che racchiude il temozolomide si forma una corona di proteine capaci di legarsi a particolari recettori di membrana delle cellule di glioblastoma. Questo porta le particelle contenenti il farmaco a legarsi con maggiore affinità proprio alle cellule tumorali, aumentando l’efficacia terapeutica".

"La strada da percorrere sarà lunga, ma la prospettiva è di rendere più efficace una molecola già in uso. Questo significherebbe poter ridurre le dosi da somministrare al paziente con una marcata riduzione degli effetti collaterali", conclude Arcella.

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