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'Ndrangheta a Roma, volevano prendersi le attività produttive: 43 arresti

10 maggio 2022 | 09.56
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Operazione della Dda e della Dia. Il gruppo operava su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione e nell’attività di riciclaggio

(Fotogramma)
(Fotogramma)

Sgominata a Roma una Locale di 'ndrangheta che operava nella capitale dal 2015 dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria. Una vasta operazione di Dda e Dia ha portato all'arresto di 43 persone (38 in carcere e 5 agli arresti domiciliari), alcune delle quali gravemente indiziate di far parte dell’associazione per delinquere di stampo mafioso che puntava ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori da quello ittico, alla panificazione, dalla pasticceria al ritiro delle pelli e degli olii esausti, facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività.

L’organizzazione di matrice ‘ndranghetista si riproponeva, secondo le indagini sviluppate dal Centro operativo Dia di Roma, anche di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe.

La Locale romana si fondava su una diarchia: al vertice dell’organizzazione criminale c’erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria.

Le indagini in particolare hanno evidenziato come fino all’estate del 2015 non ci fosse una Locale attiva nella Capitale. Nell’estate del 2015 poi Carzo avrebbe ricevuto dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire una struttura Locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine.

Il gruppo operava su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l’associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni.

"Siamo una carovana per fare la guerra”, diceva il boss Vincenzo Alvaro, nelle intercettazioni finite agli atti dell’inchiesta.

Il legame tra la ‘casa madre’ sinopolese e la propaggine romana è stato sempre attivo e gestito con estrema cautela: le indagini hanno disvelato che, secondo una strategia ben specifica, i due capi del ‘locale’ di ‘ndrangheta romani limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali, in occasione dei quali si sono svolti incontri fugaci ma risolutivi; nei casi di estrema urgenza, poi, gli incontri sono stati concordati mediante l’intermediazione di ‘messaggeri’. Alcuni dei destinatari della misura cautelare sono stati già condannati per l’appartenenza alla cosca Alvaro con sentenze passate in giudicato.

Oltre agli arresti, i procuratori aggiunti Michele Prestipino, Ilaria Calò e il pm Giovanni Musarò hanno disposto il sequestro di 24 società e attività tra cui bar, ristoranti e pescherie nell’area nord della Capitale, in particolare a Primavalle.

''Grazie alla Dia e alla Dda di Roma per la più importante operazione mai fatta nella Capitale contro la ‘ndrangheta. Le mafie - scrive su Twitter il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti - sono un pericolo per la democrazia. Insieme possiamo combatterle''. Di ''un pesante colpo alla criminalità organizzata oggi a Roma" parla anche il sindaco della Capitale Roberto Gualtieri. "Avanti così, contro le mafie, per la giustizia'', commenta in un tweet.

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