Nei prossimi giorni attesa la decisione anche sul boss Alvaro e altri arrestati nella maxi operazione della Dda contro la prima ‘locale’ nella Capitale
Arrivano le conferme da parte del Tribunale del Riesame sulle misure disposte nell’ambito della maxi inchiesta ‘Propaggine’ della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Dia contro la prima ‘locale’ ufficiale di ‘ndrangheta nella Capitale. I giudici del Riesame hanno confermato l’ordinanza di custodia cautelare disposta gip di Roma per tredici dei quattordici arrestati che avevano discusso il loro ricorso la loro scorsa settimana: tra questi anche il boss Antonio Carzo.
Per l’altro capo dell’organizzazione, Vincenzo Alvaro, la decisione del Riesame è attesa nei prossimi giorni dopo che la sua posizione e quella di altri indagati è stata discussa nell’udienza che si è tenuta questa mattina a piazzale Clodio. I giudici, con le decisione assunte finora, hanno confermato l’accusa di 416 bis, l’associazione mafiosa, e dell’aggravante mafiosa per i reati fine. A coordinare le indagini che hanno portato all’arresto di oltre quaranta persone sono stati i procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani che contestano, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.
A capo della ‘ndrina di Roma, secondo l’impianto accusatorio della procura di Roma, c’erano Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo: proprio Carzo nell’estate del 2015 aveva ricevuto dalla casa madre della ‘ndrangheta l’autorizzazione per costituire una locale nella Capitale, retta dallo stesso Carzo e da Alvaro. “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”, dicevano in un’intercettazione. E nelle conversazioni riportate nell’ordinanza del gip Gaspare Sturzo alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: “c'è una Procura... qua a Roma ... era tutta ...la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino”…“e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri ...Cosoleto ... Sinopoli... tutta la famiglia nostra...maledetti”.