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Imprese: l'economista, devono curare giovani e connetterli senza delegare rete

06 giugno 2016 | 12.25
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Noreena Hertz
Noreena Hertz

Avere cura dei giovani, connetterli con occasioni d’incontro e non delegare tutto alla rete, avere valori da comunicare oltre alle solite chiacchiere, celebrare la loro unicità e co-creare, dare loro la possibilità di sentirsi protagonisti in azienda, perché non si considerano solo consumatori ma anche produttori, abituati fin da piccoli a dare contributi personali in rete. Questi i cinque consigli per le imprese dati dall'economista e ricercatrice inglese Noreena Hertz, in occasione dell’evento del network PNC (The Power of New Culture) che, voluto da Luisa Bagnoli, ceo di Beyond International, dal 2012 riunisce manager, imprenditori e osservatori del mondo sociale ed economico per interrogarsi sul presente e il futuro e incidere sui cambiamenti epocali in atto.

"Non a caso -ha spiegato- una delle star più in voga in Giappone è un ologramma, Hatsune Miku, costruito con l’intervento di tutti i fan". Potrebbero cambiare idea crescendo? Difficile, secondo l’esperta inglese, che ha portato "l’esempio della generazione della recessione americana degli Anni Trenta, segnata nei comportamenti e nelle scelte di vita successive dagli anni della gioventù. La propensione al risparmio, ai valori agiti e alle relazioni di fiducia potrebbero quindi durare nel tempo".

Del resto per l'economista "i teenager di oggi, quelli che vanno dai 14 ai 21 anni, consumatori prossimi a entrare in azienda sono totalmente immersi nel digitale: il 73% dichiara che non potrebbe vivere senza il proprio smartphone, l’86% ha il suo personale, il 90% è su Facebook e l’80% chatta con whatsapp". E imprese e manager sono incuriositi dalle propensioni della generazione post Millennial, la Generazione K, come l’ha definita la stessa Hertz, con riferimento a Katniss Everdeen, l’eroina di The Hunger Games.

Come attirare allora e mantenere i talenti dell’ultima generazione, si chiedeva una platea incuriosita e un po’ distante dal modo di vivere e comunicare di questi giovani? I teenager cercano rapporti veri, di fiducia, oltre gli scambi virtuali, ha spiegato Noreena Hertz che ha svolto una ricerca in UK e Usa su un campione di un migliaio di giovani, non trovando significative differenze tra i due Paesi.

Usano normalmente la tecnologia ma con attenzione: verificano e controllano i settaggi della privacy dei social network (67%) e usano nickname. In pratica, non si espongono direttamente e anzi dicono di iniziare ad allontanarsi da Facebook, che risulta troppo invadente. Il 70% segue i consigli d’acquisto dei post pubblicati dai propri amici, e non da sconosciuti, e preferiscono ancora incontrarli di persona (80%). La connessione virtuale non diminuisce infatti il senso di solitudine di questi ragazzi.

Quanto alle aziende modello, i giovani della generazione K prediligono brand e gruppi con un'impostazione valoriale, per esempio che rispettino l’ambiente e non facciano discriminazioni di sorta. "Sono la generazione -ha spiegato Noreena- cresciuta nella peggiore recessione economica degli ultimi tempi e con la paura degli attentati. Sono ansiosi, si preoccupano del cambiamento climatico (66%), uno su due teme l’Iran e la maggior parte si sente senza prospettiva né futuro. L’86 % è preoccupato di non trovare un posto di lavoro e il 77% teme che dovrà ricorrere ai debiti fin da subito".

"Questo stato di insicurezza -ha chiarito- li rende però più solidali e più attenti alle campagne sociali. Il 92% dichiara che aiutare chi è in difficoltà sia un gesto importante e se devono farsi ambasciatori di qualche marchio, preferiscono quelli che includono le differenze e non inquinano. Solo il 6% dice di fidarsi delle multinazionali, contro il 60% degli adulti.

Le aziende, dunque, "dovranno spingersi di più sul fronte dell’inclusione e dei valori agiti se vorranno essere scelte dai giovani di oggi, come sta facendo Johnson&Johnson che ha affidato una recente campagna pubblicitaria a una transgender diciottenne. Rispetto dell’ambiente e delle differenze e, di conseguenza, rispetto dell’unicità delle persone. Starbucks ci ha già visto lungo ed è riuscita ad attirare un pubblico che ancora non beve caffè, affidandogli la formulazione del 'frappuccino' preferito, che è risultato quello allo zucchero filato".

"Un aspetto interessante -ha commentato Luisa Bagnoli, ceo di Beyond International- è che per una volta non si parla di una generica richiesta di responsabilità sociale d’impresa, perché i giovani sanno benissimo cosa vogliono trovare in ufficio: parità di stipendio tra uomini e donne per ruoli analoghi; rispetto reale delle diversità, a partire dall’orientamento sessuale e la possibilità di partecipare attivamente. Vogliono dire la loro".

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