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Medicina: occhio pigro, più stimoli ad hoc per batterlo anche da grandi

08 luglio 2014 | 14.40
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Medicina: occhio pigro, più stimoli ad hoc per batterlo anche da grandi

(Adnkronos Salute) - Da Pisa una strategia per 'battere' l'occhio pigro da adulti. Grazie all’ottimizzazione degli stimoli ambientali, il disturbo tipico dell'infanzia può essere risolto in maniera non invasiva, come è stato dimostrato in modelli animali della malattia. La ricerca, realizzata insieme al presidente dell’Accademia dei Lincei, Lamberto Maffei, viene presentata durante il Forum europeo delle Neuroscienze a Milano.

L'ambliopia comporta la riduzione della capacità visiva di un occhio e colpisce il 4% della popolazione mondiale. Per curarla il metodo più efficace è il "rimedio del pirata": si copre l'occhio sano per permettere all’altro di svilupparsi fino al recupero completo. Ma tutto questo deve avvenire entro gli 8 anni. Negli adulti, infatti, le cellule nervose non sono più abbastanza plastiche da riuscire a recuperare dai deficit di sviluppo, e quindi non esiste una cura. Recenti esperimenti condotti all'Istituto di Neuroscienze del Cnr di Pisa hanno individuato una strategia non invasiva che potrebbe rivelarsi molto promettente per i soggetti ambliopi adulti: l'arricchimento ambientale.

"Un primo set di esperimenti è stato condotto pochi anni fa su animali allevati in ambienti di grandi dimensioni e molto ricchi di stimoli sociali, cognitivi e motori" spiega Alessandro Sale, il neurofisiologo che assieme a Lamberto Maffei, presidente dell’Accademia dei Lincei, ha realizzato la ricerca. "A differenza degli animali mantenuti in ambienti standard, ratti adulti allevati in ambienti arricchiti" di stimoli "per tre settimane recuperano l'acuità visiva, ovvero la capacità di distinguere i dettagli spaziali più fini del mondo esterno". Ricerche più recenti realizzate dallo stesso Sale dimostrano che è possibile indurre un recupero completo delle capacità visive in roditori adulti ambliopi, anche con un arricchimento ambientale focalizzato su stimolazione singoli aspetti: in particolare, si rivelano molto efficaci gli stimoli motori (l'attività fisica volontaria) e l’esecuzione di compiti di discriminazione visiva che implicano processi di apprendimento percettivo.

Il "sorprendente effetto di recupero" delle capacità visive promosso dagli stimoli ambientali è messo in moto direttamente dal cervello, spiegano gli scienziati. In particolare, il tutto è dovuto a una riduzione dei livelli di Gaba (il più importante neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale) e a un aumento dei livelli di Bdnf (una proteina che gioca un ruolo molto importante nei processi di sviluppo e plasticità dei neuroni) nella corteccia visiva degli animali stimolati, e si accompagna a un potenziamento della plasticità sinaptica dei circuiti corticali.

"Studi successivi hanno dimostrato che gli effetti dell’ambiente arricchito sono riproducibili anche sostituendo gli stimoli ambientali con la somministrazione di fluoxetina, un farmaco molto usato nell’uomo per il trattamento di diversi disturbi psichiatrici" prosegue Sale. "Per questo la fluoxetina sembra rientrare in quella categoria di medicine capaci di riprodurre o potenziare gli effetti dell’ambiente sulla plasticità cerebrale".

Secondo il gruppo del Cnr di Pisa, la vera portata innovativa di queste scoperte sta nella possibilità di stimolare il cervello a "curarsi da sé". Si tratta di una prospettiva completamente nuova per la medicina tradizionale, cui gli autori hanno dato il nome di "farmacoterapia endogena". "Normalmente si pensa di poter agire sul cervello solo attraverso la somministrazione di farmaci dall’esterno - riflette Sale - Noi pensiamo che l’ottimizzazione degli stimoli ambientali possa indurre il cervello a produrre sostanze capaci di potenziare la plasticità neurale. Questa via di stimolazione del potenziale autoriparativo cerebrale ha il vantaggio di essere non invasiva, e quindi priva di rischi ed effetti collaterali". Studi in corso dimostrano "che è possibile arricchire l'ambiente non solo per promuovere il recupero della visione in soggetti ambliopi, ma anche per migliorare le funzioni cognitive in soggetti con sindrome di Down, o con segni iniziali di demenza di tipo Alzheimer", conclude.

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