La polizia stradale ha scoperto una truffa ai danni del Comune di Olbia con un danno di 130mila euro, messa in atto da una lavanderia della città, convenzionata con l'amministrazione dopo l'alluvione del 18 novembre scorso per il lavaggio degli indumenti dei cittadini che avevano perso tutto in quell'occasione. La scoperta nasce casualmente da un normale controllo quando i poliziotti di una pattuglia della Polizia Stradale di Olbia nel gennaio scorso hanno notato, all'interno di un'auto fermata un tappeto di piccole dimensioni. Il conducente risultava essere una delle tante persone colpite dalla calamità del 18 novembre scorso.
L'uomo ha detto ai poliziotti che quel tappeto era stato portato in una nota lavanderia di Olbia per essere sottoposto al trattamento sanitario a seguito del suo imbrattamento dal fango e aggiungeva che il servizio era stato reso gratuitamente in quanto il Comune di Olbia si faceva carico per i soggetti vittime della calamità delle spese per i lavaggi delle biancherie, esibendo una ricevuta a prova della merce trasportata. Il documento esibito agli agenti e consegnato dalla lavanderia al momento del ritiro del tappeto si documentava un peso di 100 kg a fronte di un peso reale di circa 10 kg. I poliziotti si sono quindi insospettiti e hanno avviato l'indagine.
Dopo una serie di accertamenti fatti anche dalla squadra di polizia giudiziaria della Sezione di Sassari, hanno riscontrato una serie di irregolarità. Con la semplice acquisizione di una copia del contratto stipulato e firmato dai gestori di otto lavanderie con il Comune di Olbia, per il lavaggio, a spese dell'Amministrazione comunale, dei capi di abbigliamento degli alluvionati, si è scoperto che la lavanderia, a differenza delle altre sette che fornivano un servizio a numero di capi, forniva il servizio in cambio di una corresponsione di 2 euro al Kg per i capi lavati. Dalla lettura di tutte le circa 500 fatture emesse i poliziotti hanno riscontrato evidenti pesi abnormi di quanto lavato.
La certosina indagine degli agenti Stradale, mossi anche da un sentimento di intolleranza per truffe o fatti criminosi legati ad episodi di sciacallaggio, come sembrava essere questo caso, hanno visionato, fotografato e pesato capi lavati rintracciandoli casa per casa. Tutte le persone sentite riferivano che il peso della merce era stato artatamente aumentato almeno del 70%, facendo emergere in maniera inconfutabile il tentativo di truffa messo in atto dal titolare della lavanderia.
Ad esempio per le esigenze domestiche di una famiglia è stato fatturato un peso di 30 quintali di biancheria a fronte di un peso reale di solo un quintale; oppure per una scuola per l'infanzia a fronte di un documento di trasporto che riporta come peso della biancheria lavata 3.900 kg in realtà la merce lavata non ha superato i 500 kg.
L'esito dell'indagine il 5 febbraio scorso è stata riferita alla procura di Tempio Pausania con un dettagliato rapportato che vede denunciate a piede libero il titolare e due commesse dell'esercizio. Tale attività ha sicuramente stroncato il tentativo di truffa messo in atto dal titolare della lavanderia che dalla visione delle fatture, fino ad ora avrebbe causato un ingiusto profitto ed un contestuale danno alla collettività quantificabile in circa 130.000 euro.