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Omicidio Mollicone, sentenza: "Non provati depistaggi attribuiti a maresciallo Mottola"

06 febbraio 2023 | 14.51
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Depositate le motivazioni della sentenza che ha visto l'assoluzione della famiglia Mottola e dei carabinieri Quartale e Suprano: "Numerosi indizi non sorretti da prove sufficienti. Versioni Tuzi contraddittorie e frutto di suggestioni"

Fotogramma
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Depositate questa mattina alle 10 le motivazioni della sentenza del processo per l'omicidio di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001. Per l'omicidio il 15 luglio 2022 sono stati assolti tutti gli imputati: la famiglia Mottola e i carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. Oltre 200 le pagine acquisite dagli avvocati nel pomeriggio, dopo il protocollo di registrazione.

''Gli esiti dibattimentali non offrono indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio la commissione in concorso da parte degli imputati della condotta omicidiaria contestata'', spiegano nelle motivazioni i giudici della Corte d'Assise del Tribunale di Cassino.

''Come già ampiamente esaminato, numerosi elementi indiziari, costituenti dei tasselli fondamentali dell'impianto accusatorio del pm, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio'', si legge nelle motivazioni di 236 pagine. ''Non si ritiene sussistente un quadro indiziario consistente, univoco e convergente che consenta di ritenere provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la commissione in concorso, da parte degli imputati Franco Mottola, Marco Mottola e Anna Maria Mottola, del delitto di omicidio contestato'', si legge ancora nelle motivazioni, per cui si impone, ''una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto''.

''Non sono stati'' provati, quindi, molti degli ''asseriti depistaggi che secondo l'accusa il maresciallo Mottola avrebbe compiuto in sede di prime indagini'', spiegano ancora i giudici.

Dalla stessa istruttoria dibattimentale ''sono emerse delle prove che si pongono in termini contrastanti rispetto alla ricostruzione dei fatti da parte della pubblica accusa'', si legge ancora. ''Ci si riferisce in primo luogo - scrivono i giudici - agli ordini di servizio della stazione di Arce'' dei quali ''non solo non è stata provata la falsità ma sono emersi numerosi elementi probatori di segno contrario, che inducono a ritenere, sulla base delle risultanze e valutazioni già svolte, che i citati servizi esterni siano stati effettuati dai militari interessati''.

E ancora: a fronte delle carenze probatorie ''nei confronti dei singoli imputati, si deve evidenziare come dall'istruttoria dibattimentale siano emersi consistenti e gravi elementi indiziari dai quali si deve necessariamente desumere l'implicazione nella commissione del delitto in esame di soggetti terzi, che sono rimasti ignoti''.

Le ''impronte dattiloscopiche'' rinvenute ''all'interno dei nastri adesivi che legavano le mani e le gambe di Serena'' sono ''ritenute utili per l'identificazione'' e ''non appartengono agli imputati'', sottolineano quindi i giudici, che spiegano come ''su un'impronta'' in particolare ''risulta inoltre essere stato rinvenuto un profilo genetico misto con contribuente maschile, di cui è stata esclusa la paternità degli imputati''.

''Ulteriormente, si deve rilevare il rinvenimento sui pantaloni e sugli scarponcini di Serena di tracce di Lantanio e Cerio, riconducibili a una polvere a base di ossidi di cerio, utilizzata come polish, con cui la stessa dovrebbe essere venuta in contatto quando era già in posizione supina, così assumendo una connotazione indiziaria particolarmente rilevante nella ricostruzione della dinamica delittuosa'', si legge nelle motivazioni.

''Vale la pena osservare - scrivono ancora i giudici - come secondo la consulenza merceologica effettuata il polish è un prodotto che viene in specie impiegato nell'ambito dell'edilizia per la lucidatura di marmi, vetri e specchi posti in opera e nelle carrozzerie per l'eliminazione di graffi da parabrezza e fari. Contesti rispetto ai quali non è stato provato alcun collegamento con gli imputati''.

''Considerati gli esiti delle consulenze medico legali espletate - si legge nelle motivazioni della sentenza -, può dirsi senz'altro acclarato che Serena Mollicone è stata vittima di una condotta omicidiaria commessa da una o più persone'' che si è manifestata in una prima azione lesiva, ''consistita in un'azione contusiva alla testa, nella zona sopraccigliare sinistra, a seguito della quale la giovane ha riportato un trauma cranico, produttivo di perdita di coscienza; successivamente Serena è con ogni probabilità deceduta per asfissia meccanica da soffocazione esterna diretta, probabilmente attraverso l'ostruzione delle vie aeree con il nastro adesivo e la chiusura del capo con il sacchetto di plastica''. I giudici aggiungono che ''non possono essere del tutto escluse ipotesi alternative in ordine alle modalità con cui sia stata provocata l'asfissia e che solo post mortem il volto sia stato avvolto con il nastro adesivo rinvenuto''.

Secondo quanto scritto dai giudici, ''gli esiti delle consulenze medico legali e della consulenza etnomologico-forense della dottoressa Magni hanno inoltre determinato diverse conclusioni rispetto a quanto sostenuto e contestato nel capo di imputazione in esame in ordine all'individuazione dell'epoca della morte di Serena; l'ipotesi più ragionevole, in quanto sorretta da evidenze scientifiche, è infatti che Serena sia morta nella notte tra il 1 giugno 2001 e il 2 giugno e che l'ovideposizione delle larve sul suo corpo sia avvenuta all'albeggiare del 2''.

''Tanto posto, anche ammesso che Serena possa aver perso conoscenza per un lungo periodo di tempo (ipotesi esclusa da alcuni consulenti medico-legali), appare difficile ipotizzare che la stessa, dopo aver subito il trauma al capo intorno alle 11 di mattina, come sostenuto dal pm, sia stata tenuta dagli imputati in tale stato sino alla notte, presso uno degli alloggi della caserma a loro disposizione, con il duplice rischio che la medesima potesse riprendersi e, soprattutto, che qualcuno venisse a cercarla'', si legge nelle motivazioni della sentenza.

E ancora: ''Entrambe le versioni offerte'' dal brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi, morto suicida nel 2008, ''sono in ogni caso apparse, anche alla luce delle registrazioni effettuate contraddittorie, incerte, confuse e mutevoli, frutto di suggestioni e ricostruzioni dal medesimo effettuale sul momento, alla luce degli elementi che gli venivano via via offerti''.

''In termini logici - scrivono ancora i giudici - non convince inoltre il fatto che il medesimo non abbia in alcun modo spiegato i motivi per cui avrebbe serbato il silenzio per sette anni in ordine ad una circostanza così importante''.

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