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Brescia

Yara, Bossetti: "Poteva essere mia figlia"

17 luglio 2017 | 07.01
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Nella foto Marita Comi, moglie di Massimo Giuseppe Bossetti (Foto Fotogramma
Nella foto Marita Comi, moglie di Massimo Giuseppe Bossetti (Foto Fotogramma

"Poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi. Neppure un animale avrebbe usato così tanta crudeltà". Nell'ultimo atto del processo di appello per l'omicidio di Yara Gambirasio, l'imputato Massimo Bossetti rivolge "un sincero pensiero" all'"unica vittima di questa tragedia: una ragazzina che aveva diritto di vivere". Così non è stato: la 13enne di Brembate (Bergamo) è stata uccisa il 26 novembre 2010, colpita più volte, lasciata morire nel campo di Chignolo d'Isola, dove è stata trovata solo tre mesi dopo.

"Io non confesserò mai un delitto che non ho fatto", dice ricordando come avrebbe potuto ottenere sconti di pena, ma "sono innocente. Il vero, i veri assassini sono liberi, stanno ridendo di me e della giustizia". Il delitto "è opera di persone disturbate, schifose, sadiche. Nessuno ha chiesto la perizia psichiatrica per me perché altrimenti sarebbe emerso che sono una brava persona, non ho mai fatto male a nessuno. La violenza non fa per me, non è la mia indole, non sono un assassino, ficcatevelo in testa una volta per tutte". 

Bossetti legge i fogli che ha scritto in carcere mostrando ora dolore e commozione. "Sono arrabbiato, deluso, stanco di sentire chi mi accusa ingiustamente". Ricorda il giorno dell'arresto "scandaloso. C'era bisogno di scatenare l'esercito? C'era bisogno di farmi inginocchiare? Perché avete agito così umiliandomi davanti ai miei figli, al mondo intero, perché?", si chiede. "Mi avete trattato come un mostro, vergognatevi". In quel momento si è sentito "come una lepre abbagliata, spaventata, accerchiata da tanti cacciatori". Il pensiero va al padre, allora malato, "sicuramente gli avete accelerato la sofferenza" dice mentre la madre Ester piange in aula.

C'è commozione quando parla dei tre figli. "Voglio che i miei figli pensino: il papà è una persona onesta e merita la nostra stima". Quando parla del legame con i figli, delle giornate passate insieme, dei regali al ritorno da lavoro, a Bossetti trema la voce e confida che quando vanno a fargli visita in carcere, gli chiedono sempre quando torna a casa e se non c'è un'altra porta dalla quale può uscire. "Papà uscirà a testa alta dall'ingresso principale, perché così deve essere e così sarà".  Bossetti implora i giudici: "Concedetemi la superperizia" sul Dna così "posso dimostrare con assoluta certezza la mia estraneità ai fatti. Cosa dovete temere se tutto è stato svolto secondo le norme? Perché non consentite che io e la difesa possiamo visionare i reperti? Non posso essere condannato con un Dna anomalo, strampalato, dubbioso". Quella traccia "non può essere mia. Non solo non ho ucciso Yara, ma non ho mai avuto un contatto con lei. Si è verificato un errore. Se fossi l'assassino sarei pazzo a chiedere la perizia, invece io non temo nulla. Vi supplico e vi imploro di fare questa perizia". 

Si difende dall'accusa di calunnia nei confronti di un collega. In quei giorni "era in isolamento, non ero lucido, sono andato dietro a quello che mi chiedevano gli inquirenti e cioè una spiegazione sul Dna. La mia era una semplice esternazione di un sospetto, non era un'accusa". Infine l'appello alla corte: "Se tenete alla vita di una persone non tralasciate nulla, la mia vita non è più vita. La mia vita è nelle vostre mani, voi potete trovare la verità, non posso marcire in carcere per un delitto che non ho commesso".

Il verdetto - i giudici sono in camera di consiglio - è atteso nel tardo pomeriggio. I giudici, dopo le dichiarazioni spontanee di Bossetti, si sono riuniti in camera di consiglio per emettere il verdetto sull'imputato. Il presidente della corte Enrico Fischetti non ha dato tempi per la decisione: "Non abbiamo limiti", ha detto in aula. Sarà lui a leggere il verdetto: conferma della sentenza di 'fine pena mai', riforma parziale del primo grado - l'accusa chiede l'ergastolo con isolamento diurno per sei mesi -, assoluzione oppure perizia sul Dna, la traccia mista trovata su slip e leggings della 13enne attribuita a Ignoto 1 poi identificato in Bossetti.

L'imputato è accusato di omicidio pluriaggravato e di calunnia nei confronti di un collega su cui avrebbe cercato di indirizzare le indagini.

Spetterà ai giudici ripercorrere la lunga inchiesta, dal 26 novembre 2010 - giorno della scomparsa della ginnasta a Brembate di Sopra (Bergamo) - fino all'arresto di Bossetti. L'assenza del suo Dna mitocondriale "non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense" per il rappresentante dell'accusa Marco Martani. "Quel Dna non è suo, non c'è stato nessun match, ha talmente tante criticità - 261 - che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori", per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini che chiedono di risolvere l'"anomalia" con un accertamento alla presenza delle parti.

La prova scientifica "assolutamente affidabile" per l'accusa va letta insieme agli altri indizi di un'indagine che non ha tralasciato nessuna ipotesi. Solo il 26 febbraio 2011, il corpo della 13enne viene trovato in un campo di Chignolo d'Isola e da lì si riparte per la caccia all'uomo. E in quel campo che Yara muore dopo una lunga agonia, secondo i dati restituiti dall'autopsia.

Per la difesa, invece, la studentessa è stata uccisa altrove come mostra una foto satellitare del campo. Contro l'imputato ci sono altri elementi: dal passaggio del furgone davanti alla palestra alle fibre sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; dalle sferette metalliche sul corpo di Yara che rimandano al mondo dell'edilizia all'assenza di alibi. Indizi che la difesa respinge. Oggi a stabilire la verità saranno i giudici.

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