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"Pamela fatta a pezzi da viva"

06 marzo 2019 | 11.26
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Il pentito Vincenzo Marino, supertestimone dell'accusa, racconta le confidenze in carcere di Oseghale; 2 uomini iscritti nel registro delle notizie di reato per violenza sessuale nei confronti della giovane

(Foto da Facebook)
(Foto da Facebook)

"Desmond Lucky se ne andò, Oseghale tentò di rianimarla con acqua sulla faccia per farla riprendere, lei si riprese. Oseghale l'ha spogliata, era sveglia" ma aveva "gli occhi girati all'insù" e "hanno avuto un rapporto sessuale completo". Poi la "ragazza voleva andare via a casa a Roma perché aveva il treno, disse che se no l'avrebbe denunciato. Ebbero una colluttazione, si sono spinti, Oseghale le diede una coltellata all'altezza del fegato e dopo una prima coltellata Pamela cadde a terra". E' il racconto del pentito Vincenzo Marino, ascoltato come supertestimone dell'accusa nella seconda udienza del processo davanti alla Corte di Assise di Macerata per la morte di Pamela Mastropietro. Marino riporta le confidenze raccolte in carcere da Oseghale, il nigeriano imputato e accusato di aver ucciso e fatto a pezzi la 18enne romana, quando ad Ascoli furono detenuti insieme per un breve periodo.

Pensando che dopo averla accoltellata Pamela fosse morta, Oseghale mi raccontò che andò ai giardini Diaz per chiedere, invano, l'aiuto a un connazionale poi "tornò a casa, convinto che la ragazza fosse morta e la squartò iniziando dal piede. La ragazza iniziò a muoversi e lamentarsi e gli diede una seconda coltellata", afferma ancora il pentito che racconta l'incontro in carcere il presunto assassino: "L’8 luglio – afferma Marino spiegando che lui e Oseghale erano detenuti a circa quattro metri di distanza – uscii dalla mia cella e vidi Oseghale di fronte alla sua cella. Gli dissi – racconta il pentito – ‘Cornuto, pezzo di m…., che facesti?". In carcere "lo chiamavano macellaio – continua – gli ho lanciato una bottiglia". Poi, ha continuato il pentito, fummo divisi e secondo la sua ricostruzione fu stabilito per loro due il divieto di incontro, ma, nonostante ciò, continuarono a incontrarsi. Un altro detenuto, giorni dopo, "venne a dirmi che Oseghale voleva chiarirsi, che si voleva riappacificare", ha continuato il teste spiegando che il nigeriano "parlava italiano". "Mi chiamava ‘zio’", ha aggiunto spiegando che in carcere "zio è una persona che merita rispetto nei confronti di altri detenuti".  

Marino racconta poi gli istanti prima della morte della giovane: "Sono andati a comprare una siringa e sono andati a casa, Oseghale, Desmond Lucky, la ragazza per consumare un rapporto a tre" perché "Desmond Lucky e Oseghale volevano stare con la ragazza", afferma ancora Marino spiegando che "inizialmente mi disse che" con l'omicidio "non c'entrava lui, ma altre persone", Oseghale "mi raccontò che la ragazza si era fatta di roba, Desmond si avvicinò per approcciarla e la ragazza lo respinse, Desmond Lucky gli diede uno schiaffo e la ragazza cadde a terra e svenne. Poi Desmond Lucky se ne andò", continua. Quanto a eventuali complici, il pentito sottolinea: "Non fece il nome di nessuno".

Dopo averla fatta a pezzi "l'aveva lavata con la varechina perché così non si sarebbe saputo se era morta di overdose o assassinata", ha continuato Marino affermando ancora che Oseghale gli "disse che aveva un sacco in frigo dove mettere i pezzi, ma che non ci andavano e che l'ha dovuta tagliare e l'ha messa in due valigie". Chiamò un taxi, ma mentre era in auto "la moglie lo chiamava ed è andato nel panico", ha proseguito il pentito rispondendo, a una domanda su Oseghale e i presunti rapporti con la mafia nigeriana, che l'uomo gli "disse che era uno dei referenti dei nigeriani a Macerata, al livello sia di prostituzione che di stupefacenti". Disse che "faceva riferimento a Padova e Castel Volturno", ha aggiunto.

Al racconto di Marino si aggiunge poi quello di Stefano Giardini, un ex compagno di cella di Oseghale il quale gli avrebbe raccontato di un rapporto sessuale "consenziente" in cambio dell’aiuto a trovare una dose di eroina e la morte dopo l’iniezione di stupefacente "per overdose". "Lui ha sempre negato le coltellate - ha spiegato il detenuto che divideva la cella con Oseghale - ha detto che l'ha solo vivisezionata. Ha sempre negato di averla uccisa" e "disse che questa cosa l’ha fatta da solo".

"Sembrava più preoccupato che la compagna venisse a conoscenza dell'atto sessuale" che del resto ha detto Giardini. Dopo la morte di Pamela nella casa di via Spalato, ha riferito l'ex compagno di cella di Oseghale, il nigeriano "entrò nel panico perché l'indomani doveva tornare a casa della compagna, che era ospite di una comunità e non sapeva come cancellare le tracce di questo suo tradimento. Per lui il tradimento era il problema", ha continuato raccontando le presunte confidenze dell'imputato.

Giardini esclude tuttavia che Oseghale abbia fatto confidenze al pentito Marino "e penso che se avesse dovuto fare una confidenza l'avrebbe fatta a me" ha aggiunto l'ex compagno di cella del nigeriano, ascoltato anche in merito ai rapporti tra Oseghale e Marino. Giardini ha anche riferito di essersi fatto promotore di un "memoriale" di Oseghale dove si racconta la versione raccontata allo stesso teste secondo cui il nigeriano non avrebbe ucciso Pamela, che sarebbe invece morta per droga.

Intanto, secondo quanto emerso nel corso dell'udienza, due uomini sono stati iscritti nel registro delle notizie di reato per violenza sessuale nei confronti di Pamela . "Oggi abbiamo appreso che due persone, che Pamela ha incontrato, sono state iscritte nel registro delle notizie di reato per violenza sessuale", ha commentato l'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro. Accade dopo la consulenza depositata dalla criminologa Roberta Bruzzone, consulente della difesa, "in cui si mette nero su bianco che Pamela era in stato di minorata difesa e chiunque poteva accorgersene", ha riferito il legale.

Si tratta, ha detto l'avvocato, di un uomo che Pamela incontrò subito dopo il suo allontanamento dalla comunità e di un altro uomo con il quale la 18enne passò la notte prima del giorno in cui morì. "Noi partiamo dal fatto che Pamela era in stato di minorata difesa già al momento del suo allontanamento dalla comunità" e "anche per lo stato di bisogno" in cui versava, ha sottolineato Verni. "Secondo noi - ha concluso l'avvocato e zio di Pamela - c'è stato qualcuno che se ne è approfittato".

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