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Osservatorio Patrimonio Culturale Privato, in Italia 37.708 dimore, 9.400 aperte al pubblico

26 ottobre 2021 | 17.36
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Osservatorio Patrimonio Culturale Privato, in Italia 37.708 dimore, 9.400 aperte al pubblico

Un vasto patrimonio che dal Nord al Sud del Paese comprende 37.708 beni culturali privati. Case storiche, ville, palazzi, castelli e torri che costituiscono una vera e propria rete ramificata in tutto il territorio. Il 28% di questa dimore, infatti, è collocato nei comuni sotto i 5.000 abitanti, il 26% si trova nei comuni tra i 5.000 e i 20.000, il 15% in quelli tra i 20.000 e i 60.000 e il 31% è ubicato nei comuni oltre i 60.000 abitanti. Una 'dotazione' che costituisce circa il 17% del totale dell'intero patrimonio culturale che, prima della pandemia, accoglieva 45 milioni di visitatori all’anno (contro i 49 milioni dei musei pubblici) nelle sue oltre 9.400 dimore aperte al pubblico.

Una realtà complessa descritta nel II Rapporto dell’Osservatorio del Patrimonio Culturale Privato, presentato oggi nel Salone Spadolini del Ministero della Cultura. Il Rapporto, realizzato dalla Fondazione Bruno Visentini, e promosso dall’Associazione Dimore Storiche Italiane, Confagricoltura e Confedilizia, evidenzia che il 31,3% di questi beni si trova in aree periurbane o al di fuori dai centri abitati. Dal Rapporto emerge anche che, rispetto al 2017, cala da 1,5 miliardi a 1,3 miliardi la spesa complessiva per interventi manutentivi. A incidere è il -37% delle spese ordinarie, scese in media da 24.600 euro a 21.100 euro per immobile. Altro dato messo in luce dalla ricerca è che il 38% delle imprese nelle dimore dichiara di trovare difficoltà nel reperire artigiani e restauratori.

Il focus sulle attività di manutenzione è stato uno dei principali elementi del II Rapporto. Il dato più sorprendente è il -37% delle spese complessive per interventi ordinari rispetto al 2017, passate da una media di 24.600 euro per immobile a 21.100 euro, con una contestuale contrazione dei beni culturali privati interessati a questi tipi di opere (da 28.000 a 20.500): numeri allarmanti, dal momento che la loro periodica manutenzione è la migliore garanzia di conservazione per le prossime generazioni. A tenere sono invece le spese straordinarie (+4,8%), spesso improcrastinabili o forse nell’ultimo anno stimolate dal 'Bonus facciate': un’iniziativa lodevole e da prorogare. Il dato che emerge, comunque, è che la spesa complessiva scende da 1,5 miliardi di euro a 1,3 miliardi.

“Il Rapporto dimostra - ha sottolineato il presidente delle Dimore Storiche Giacomo di Thiene - come la crisi generata dal Covid e un sistema fiscale complesso abbiano diminuito gli interventi manutentivi sugli immobili. Un dato preoccupante, vista la centralità che tali beni costituiscono per il nostro Paese sia dal punto di vista culturale sia da quello dello sviluppo economico sostenibile. Ricordo che ogni euro investito nelle dimore storiche determina benefici più che doppi per l’economia dei luoghi nei quali sorgono, concorrendo alla valorizzazione di un patrimonio identitario che tutto il mondo ci riconosce, sul quale possiamo e dovremo continuare a primeggiare".

"Per farlo - ha affermato - serve una politica ben più concreta di quella fino ad oggi messa in campo, oltre ad azioni che agiscano anche nel medio e lungo periodo per stimolare la formazione di maestranze che stanno scomparendo, creando occupazione per i tanti giovani che si stanno laureando nelle facoltà di gestione dei beni culturali. Basterebbe davvero poco: se si considera che il patrimonio privato costituisce il 2 per mille dell’intero patrimonio immobiliare, è evidente la ridotta incidenza economica di qualsiasi iniziativa in questo settore rispetto al bilancio dello stato, dando così concreta attuazione agli articoli 9 e 118 della Costituzione”.

Per quanto concerne il mercato del lavoro nelle filiere alimentate dalle dimore storiche, risultano di difficile reperibilità alcune figure professionali, a causa del ridotto numero dei candidati o di una generalizzata inadeguatezza a ricoprire ruoli specifici. Su tutti, rileva il Rapporto, che circa il 38% delle imprese dichiara di trovare difficoltà nel trovare restauratori o artigiani: il livello di conoscenza della materia e quello della professionalità richiesto, infatti, è spesso insufficiente.

Un’ulteriore analisi è stata quella condotta sullo spopolamento dei piccoli borghi, trend presente già nell’indagine 2020 dell’Osservatorio. Ebbene quest’anno, nelle tre regioni campione (Toscana, Veneto e Puglia), è stata introdotta la variabile dei 'cittadini stranieri residenti in Italia', i quali effettivamente compensano il trend negativo di chi ha deciso di abbandonare i piccoli territori.

“Il Rapporto di quest’anno dimostra, ancora una volta, ciò che in tanti ignorano o fingono di ignorare: e cioè che il patrimonio immobiliare privato muove l’economia, crea sviluppo, fa crescere l’occupazione. A patto, naturalmente, che non venga ostacolato da una legislazione eccessivamente vincolistica e da una tassazione troppo elevata”, ha rimarcato Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia.

“Le dimore storiche rappresentano gran parte del patrimonio diffuso su tutto il territorio”, ha scandito il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni che ha risposto alle sollecitazioni arrivate dal II Rapporto sottolineando che “nel Pnrr è previsto un miliardo di euro per la valorizzazione delle nostre bellezze storico-artistiche e per il rilancio dei tanti piccoli borghi italiani, che offrono un enorme potenziale per l’economia del nostro Paese. In particolare, per valorizzare l’identità dei luoghi, dai parchi ai giardini storici, abbiamo previsto un investimento di 300 milioni di euro, mentre per la tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale sono destinati 655 milioni di euro, di cui 645 per interventi effettuati da soggetti privati. Crediamo importante quindi investire sui borghi e realtà rurali, collaborando in maniera trasversale con il ministero dell’Agricoltura e del Turismo per il loro rilancio, trasformandoli in attrattori, e anche con le Film Commission, come strategia di rilancio, per potenziare il cineturismo delle aree interne”.

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